Migranti! Migranti!
Cos’è la politica? E a cosa deve mirare chi si occupa del bene pubblico?
Aristotele ci dice che bisogna consentire a una comunità politica di vivere bene e il fine ultimo dell’attività politica è la Felicità.
Duemila anni dopo, nel 1776, la Dichiarazione di indipendenza americana arriva alle stesse conclusioni: il fine ultimo della politica è “il perseguimento della Felicità”, di ognuno e di tutta la comunità. La meta è difficile da raggiungere, ma qualcosa si può fare. Noi questo obiettivo per secoli l’abbiamo rincorso invano perché la pace, premessa indispensabile per una felice convivenza, è sempre stata una parentesi eccezionale fra tante guerre. Solo dopo le due guerre mondiali, in cui si raggiunse l’apice del dispregio della vita umana, l’uomo sembrò risalire dall’inferno, ravvedersi e lavorare per tradurre nella realtà alcuni buoni propositi.
Il timore di una nuova forma
di tirannia e terrore
Il sapiente dosaggio fra libertà, uguaglianza e fraternità diede vita nel Dopoguerra – si pensava stabilmente – allo Stato liberale democratico e sociale: affidava il governo alla sovranità dei cittadini, ma nel rispetto dei diritti di ognuno e il welfare doveva garantire ai bisognosi le condizioni materiali per una vita fuori dalla povertà. Di più: l’orrendo spettacolo dei nazionalismi esasperati, dell’odio razziale, delle discriminazioni fra popoli, spinse alcuni politici illuminati a tentare di realizzare il sogno degli Stati uniti d’Europa. Tanti si diedero da fare, a cominciare da Konrad Adenauer, e anche Churchill aderì al progetto. Fu proprio lui, di passaggio a Zurigo nel 1946, a darci l’immagine cruda dell’immediato Dopoguerra in cui “masse di esseri umani affamati e impauriti si aggirano tra le rovine delle proprie città e delle proprie case, esplorando un orizzonte buio, nel timore di vedere apparire qualche nuova forma di tirannia e di terrore.” Ma come è potuto succedere che paesi colti e progrediti siano scivolati nella peggiore barbarie della storia dell’umanità? Storici, sociologi, psicologi sociali si sono interrogati ma resta un cono d’ombra, imperscrutabile. In ogni modo, una simile tragedia non doveva più ripetersi e la risposta fu l’Europa federata e solidale, voluta per impedire il prevalere di ogni forma di sopraffazione, di ogni retorica revanscista, di ogni discriminazione e di ogni rigurgito razziale.
Non perdiamo la memoria
Oggi l’Europa Unita è una realtà, con limiti e difetti, da rimediare: ma c’è e dobbiamo difenderla! Grazie alle sue regole noi tutti abbiamo goduto di un periodo lunghissimo di pace e prosperità. A proteggere la costruzione unitaria fu la memoria della Storia: le immagini crudeli di milioni di essere umani distrutti dalla follia umana, lo spettacolo orribile di corpi straziati e oltraggiati, i racconti dei testimoni sopravvissuti all’Olocausto. La memoria – questa fu la sua funzione pubblica e educativa – agì da freno, da monito a non più cadere nella follia. Lo scrittore Primo Levi, che visse l’abominio degli uomini ridotti a bestie, ci lascia un romanzo memoriale, ‘Se questo è un uomo’, e il messaggio è inequivocabile: teniamo ben viva la memoria perché quel che è successo potrebbe di nuovo accadere.
I predicatori della paura e le vittime del cinismo politico
Ma l’Europa sta dimenticando, e il legame con il passato si affievolisce e si spezza, soffocato dalla retorica populista del risentimento che orienta i sentimenti collettivi verso pericolose derive. I leader populisti, delle destre xenofobe, sono
Non voltiamo la faccia dall’altra parte
tutti predicatori della paura: non fanno appello alla ragione e non rassicurano; al contrario, l’insicurezza è la loro arma, la esibiscono e promettono soluzioni rapide, con la ruspa se occorre, valorizzano la discriminazione perché la democrazia deve valere solo per noi.
Anche i migranti sono vittime designate della globalizzazione e del neoliberismo, antipolitico e sociopatico: welfare, solidarietà, giustizia sociale e bene comune non fanno parte del portafoglio neoliberista
L’ignoranza della storia e la perdita di memoria ci precipitano nell’oscurantismo e in un’inquietante regressione culturale i cui esiti lasciano presagire il peggio. Le destre populiste promettono il paradiso e avanzano con le idee che hanno devastato l’Europa: esaltano il nazionalismo escludente, falsificano il passato, inventano identità posticce per marcare la differenza, nutrono la xenofobia intinta nel razzismo, avversano l’Europa. Tutto ciò conforta molti perché offre protezione dalle paure e dall’insicurezza: con solide frontiere, fili spinati e una netta discriminazione fra noi e gli altri. Sono questi gli strumenti per la felicità. La democrazia illiberale a cui aspirano i populisti si costruisce con la negazione dei diritti universali: esclude e seleziona. Le vittime designate su cui riversare le responsabilità dei disagi sono l’Europa e i migranti. Ma è soprattutto nei confronti dei migranti che si manifesta l’aspetto più odioso e cinico del populismo, quotidianamente impegnato ad attizzare l’egoismo della massa gregaria.
Teniamoli fuori perché non sono come noi
Noi sappiamo benissimo, a meno di essere accecati dal risentimento, che le diseguaglianze fra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, lo sgretolamento dello Stato sociale sempre meno sociale e l’espansione del precariato non sono colpa dei migranti. Anche loro sono vittime designate della globalizzazione e del neoliberismo, antipolitico e sociopatico: welfare, solidarietà, giustizia sociale e bene comune non fanno parte del portafoglio neoliberista. Ma la globalizzazione è un concetto, astratto, inafferrabile, mentre i migranti sono lì, in carne ed ossa, e – ci insegnano i populisti alla Salvini – sono loro i nemici: diversi di colore, di cultura, spesso di religione, incrinano le nostre tradizioni, intaccano il nostro stile di vita, suscitano timori, ci portano via il lavoro e insidiano il nostro fragile benessere. I migranti insomma sono ‘pascoli fecondi’ per coloro che fanno occhi truci e esibiscono i muscoli: attirano consensi.
Uomini e no
Ho commesso un grave errore: ho parlato di uomini e donne, ma in realtà i migranti non sono considerati, da una buona fetta della nostra politica, delle persone a pieno titolo. Nei loro confronti noi ci permettiamo azioni e comportamenti inaccettabili: li cacciamo per mesi nei bunker dove mai metteremmo i nostri figli; talvolta li trattiamo con il paternalismo degli esseri superiori che con indulgenza concedono il loro benestare a esseri con ampie carenze morali, respingiamo in piena notte donne incinte e bambini non accompagnati oltre frontiera; e poi si arrangino sui marciapiedi. Insomma: atteggiamenti e comportamenti di scarsa umanità che non saremmo disposti a tollerare fra di noi, li ammettiamo per loro perché – si sottintende – sono diversi. Esagero? Consultate i documenti ufficiali: si parla di flussi migratori, di entità numeriche, di categorie, e addirittura di “materiale difficilmente assimilabile”. Poi ci sono alcuni politici, con l’idea fissa del Fez nero nel cervello, xenofobi e razzisti, che parlano di “morti di Stato”, di “scarti”, di “spazzatura”, di “topi”. E le parole sono pietre: pezzo dopo pezzo il migrante, il diverso, lo straniero viene disintegrato, privato della sua umanità; diventa un subumano, viene azzerato come individuo e come cittadino, viene ridotto a essere inferiore, oggetto privo di sentimenti. C’è da dividere famiglie? Le carte prevalgono, e il cuore di madri, di padri, di figli non contano: il colore della pelle li anestetizza dai sentimenti umani troppo forti. Esagero? Andate a vedere il documentario di Markus Imhoof (‘Eldorado’) e il documentario di Danilo Catti (‘Senza via d’uscita’) sul trattamento dei migranti, poi ne riparliamo. Ezio Mauro, già direttore di ‘Repubblica’ (‘L’uomo bianco’, Milano 2018), ci pone di fronte alla nostra cattiva coscienza: “Contando i corpi, sommandone la quantità, dividendoli per quote, separandoli fra genitori e figli, chiudendoli in gabbie, noi li riduciamo a ingombro indifferenziato, a massa indistinta, e facendolo azzeriamo ogni valenza umanitaria, civile, giuridica, eliminiamo l’universalità morale dei diritti dell’uomo, la titolarità soggettiva dei diritti del cittadino”.
La brutta bestia della xenofobia
e del razzismo
I movimenti populisti hanno bisogno di nemici in carne ed ossa su cui il popolo del risentimento può riversare le sue paure: sono loro a minare la stabilità della nostra società, sono loro a scalfire le nostre identità, sono loro a rubare soldi al nostro welfare. L’avversione verso lo straniero diventa xenofobia e razzismo che si manifestano nella quotidianità di ogni giorno. Esagero? Non è razzista chi apostrofa sull’autopostale bellinzonese il giovane studente di colore con un “negro di merda” e tutti zitti fra l’indifferenza generale? Non è razzista la funzionaria doganale che usa lo stesso linguaggio per coloro che arrivano alla frontiera? Non è razzista chi si scaglia contro i ragazzetti che servono la messa perché di colore e sospetti migranti? Non è razzista chi nel supermercato raccomanda alla cassiera di tener d’occhio quei negri lì perché non ci si può fidare? Non è razzista chi ritiene che quei maiali bisogna buttarli fuori a fucilate? Non è razzista chi prende a bastonate il ragazzo di colore ammanettato? In genere i partiti non si pronunciano sulla questione e i rappresentanti delle istituzioni minimizzano e raccomandano di non esagerare, e guai a parlare di razzismo e comportamenti fascisti! In altri tempi, si cominciò proprio così: tollerando, lasciando correre; poi successe quel che successe. Forse sarebbe ora di chiamare le cose con il loro nome: se uno discrimina è un razzista, se ha comportamenti fascisti è un fascista.
Fa paura il silenzio indifferente
Fa paura il declino della nostra umanità e della nostra coscienza, ma fa paura soprattutto l’indifferenza, il silenzio delle istituzioni di fronte a questi comportamenti. L’Europa unita deve sicuramente recuperare i valori di solidarietà e di accoglienza che l’avevano ispirata, ma ogni paese, ogni cittadino deve fare la sua parte. Massimo Cacciari, a proposito dell’indifferenza che diventa complicità, ammonisce: “Il male si diffonde alla superficie delle nostre vite, le imbeve di sé, diviene qualcosa di quotidiano. Non fa più scandalo. Che vi sia chi soffre atrocemente non è più uno scandalo per la nostra coscienza. Basta tenerlo lontano, non vederlo, che non anneghi nei pressi delle nostre spiagge” (‘L’Espresso’, 24 giugno 2018). Noi siamo in fondo al mare. E allora non voltiamo la faccia dall’altra parte, e valutiamo le conseguenze delle scellerate politiche migratorie dell’Europa e di buona parte dei paesi europei. Nel 2018 le persone scomparse in mare, perlopiù africane, sono più di 2’000, la stragrande maggioranza non ha un nome, né un volto: di loro è rimasto solo un numero. L’elenco per difetto è stato pubblicato da ‘The Guardian’; si ferma a maggio. L’ultima data, il 5 maggio, registra 4 annegati: venivano dall’Africa; il 30 aprile 2 uomini affogati; ancora il 30 aprile altre 6 persone fra cui un ragazzo; e giù giù a ritroso i senza nome sono tanti, tantissimi.
Segue da pagina 2 E poi ci sono coloro a cui si è riusciti a dare un nome; pochi: Snaid Tadese, 19 anni, f; Omar “Susi”, 16 anni; Mame Mbaye Ndiabe, 35 anni; Tesfalidet “Segen” Tesfon, 22 anni; Lamin, 20 anni; Ayse Abdulrezzak, 37, f; Ibrahim Selim, 3 anni; Asli Dogan, 27 anni, f; Fahrettin Dogan, 29 anni; Ugur Abdulrezzak, 39 anni; Haili Munir Abdulrezzak, 3 anni; Enes Abdulrezzak, 11 anni; Alpha Oumar Diallo, 19 anni; Mamadou Dian Diallo, 21 anni; Amadou Bailo Diallo, 19 anni; Thierno Bah, 21 anni; Mamadou Aliou Bah, 28 anni; Aladji Abdoullaye Diallo, 27 anni; Amadou Bah, 22 anni; Kaissa Camara, 20 anni, f; Safourata “Sofia” Sow, 28 anni, f; Djenabou Bah, 19 anni, f; Binta “Bobo” Baldé, 21 anni, f; Amadou Diallo, 25 anni, f; Marlyatou “Marly” Diallo, 26 anni, f; Youssouf Diallo, 18 anni, f; Oumou “Belle” Bah, 16 anni, f; Tidyane Bah, 19 anni; Junior, 29 anni; Ali Keita, 27 anni; Mamadou Saliou Bah, 23 anni; Jalloh “JJ” Thierno Bah, 26 anni; Mamadou Saliou Bah, 19 anni; Oury Diallo, 18 anni; Mamadou Aliou Diallo, 34 anni; Mamadou Taibou Diallo, 16 anni; Mamadou Billo Diallo, 25 anni; Alpha “Bambino” Bah, 14 anni; Ben Ali Bah, 14 anni; Ben Ali Bah, 24 anni; Bouboucar Bah, 32 anni; Amoudoubailo Diallo, 20 anni; Alhassane Barry, 21; Alpha Moron Diallo, 28 anni; Hassane Traoré, 28 anni; Houseine Traoré, 28 anni; Abdul Karim Barry, 17 anni; Mohammed Diallo, 21 anni; Tahirou Barry, 22 anni; Tidiane Jalloh TJ Bah, 17 anni; Mamadou Laly Barry, 30 anni; Adero, 40 anni; Becky Moses, 26 anni, f.
Buon appetito ai pesci
Pochi nomi fra i molti, a cui la sorte e il cinismo politico hanno negato il diritto alla speranza. In tanti sono morti e in tanti sono arrivati fra indicibili sofferenze. Dovrebbe valere anche per loro la convinzione che la politica è fatta per il bene comune, per dare un po’ di felicità a tutti. Ma così non è. La politica si compiace nel ripetere che i flussi sono diminuiti e gli effetti collaterali delle barriere e dei brutali respingimenti sono inevitabili: stupri, torture, maltrattamenti, estorsioni appartengono a un altro mondo, quello di fuori, che è degli altri. E cominciamo a convincerci che lo Stato democratico debba essere selettivo e discriminante: quello che vale per noi non vale per loro. E peggio per loro se hanno abbandonato le case bombardate, o sono fuggiti perché la terra è bruciata e la fame li attanaglia. Scivoliamo sempre più giù, nell’immondizia rivoltante di chi, di fronte all’immane tragedia che si consuma nell’indifferenza generale della politica, esulta e augura “Buon appetito ai pesci!”, e ringrazia il Mediterraneo che ci toglie il disturbo. Ributtante. Un filo di speranza, per fortuna, lo tengono in vita i numerosissimi volontari della società civile, e i Mimmo Lucano e i don Giusto, convinti che ci sono solo esseri umani da aiutare e il colore della pelle non conta.