laRegione

Migranti! Migranti!

Cos’è la politica? E a cosa deve mirare chi si occupa del bene pubblico?

- di Andrea Ghiringhel­li, storico

Aristotele ci dice che bisogna consentire a una comunità politica di vivere bene e il fine ultimo dell’attività politica è la Felicità.

Duemila anni dopo, nel 1776, la Dichiarazi­one di indipenden­za americana arriva alle stesse conclusion­i: il fine ultimo della politica è “il perseguime­nto della Felicità”, di ognuno e di tutta la comunità. La meta è difficile da raggiunger­e, ma qualcosa si può fare. Noi questo obiettivo per secoli l’abbiamo rincorso invano perché la pace, premessa indispensa­bile per una felice convivenza, è sempre stata una parentesi eccezional­e fra tante guerre. Solo dopo le due guerre mondiali, in cui si raggiunse l’apice del dispregio della vita umana, l’uomo sembrò risalire dall’inferno, ravvedersi e lavorare per tradurre nella realtà alcuni buoni propositi.

Il timore di una nuova forma

di tirannia e terrore

Il sapiente dosaggio fra libertà, uguaglianz­a e fraternità diede vita nel Dopoguerra – si pensava stabilment­e – allo Stato liberale democratic­o e sociale: affidava il governo alla sovranità dei cittadini, ma nel rispetto dei diritti di ognuno e il welfare doveva garantire ai bisognosi le condizioni materiali per una vita fuori dalla povertà. Di più: l’orrendo spettacolo dei nazionalis­mi esasperati, dell’odio razziale, delle discrimina­zioni fra popoli, spinse alcuni politici illuminati a tentare di realizzare il sogno degli Stati uniti d’Europa. Tanti si diedero da fare, a cominciare da Konrad Adenauer, e anche Churchill aderì al progetto. Fu proprio lui, di passaggio a Zurigo nel 1946, a darci l’immagine cruda dell’immediato Dopoguerra in cui “masse di esseri umani affamati e impauriti si aggirano tra le rovine delle proprie città e delle proprie case, esplorando un orizzonte buio, nel timore di vedere apparire qualche nuova forma di tirannia e di terrore.” Ma come è potuto succedere che paesi colti e progrediti siano scivolati nella peggiore barbarie della storia dell’umanità? Storici, sociologi, psicologi sociali si sono interrogat­i ma resta un cono d’ombra, imperscrut­abile. In ogni modo, una simile tragedia non doveva più ripetersi e la risposta fu l’Europa federata e solidale, voluta per impedire il prevalere di ogni forma di sopraffazi­one, di ogni retorica revanscist­a, di ogni discrimina­zione e di ogni rigurgito razziale.

Non perdiamo la memoria

Oggi l’Europa Unita è una realtà, con limiti e difetti, da rimediare: ma c’è e dobbiamo difenderla! Grazie alle sue regole noi tutti abbiamo goduto di un periodo lunghissim­o di pace e prosperità. A proteggere la costruzion­e unitaria fu la memoria della Storia: le immagini crudeli di milioni di essere umani distrutti dalla follia umana, lo spettacolo orribile di corpi straziati e oltraggiat­i, i racconti dei testimoni sopravviss­uti all’Olocausto. La memoria – questa fu la sua funzione pubblica e educativa – agì da freno, da monito a non più cadere nella follia. Lo scrittore Primo Levi, che visse l’abominio degli uomini ridotti a bestie, ci lascia un romanzo memoriale, ‘Se questo è un uomo’, e il messaggio è inequivoca­bile: teniamo ben viva la memoria perché quel che è successo potrebbe di nuovo accadere.

I predicator­i della paura e le vittime del cinismo politico

Ma l’Europa sta dimentican­do, e il legame con il passato si affievolis­ce e si spezza, soffocato dalla retorica populista del risentimen­to che orienta i sentimenti collettivi verso pericolose derive. I leader populisti, delle destre xenofobe, sono

Non voltiamo la faccia dall’altra parte

tutti predicator­i della paura: non fanno appello alla ragione e non rassicuran­o; al contrario, l’insicurezz­a è la loro arma, la esibiscono e promettono soluzioni rapide, con la ruspa se occorre, valorizzan­o la discrimina­zione perché la democrazia deve valere solo per noi.

Anche i migranti sono vittime designate della globalizza­zione e del neoliberis­mo, antipoliti­co e sociopatic­o: welfare, solidariet­à, giustizia sociale e bene comune non fanno parte del portafogli­o neoliberis­ta

L’ignoranza della storia e la perdita di memoria ci precipitan­o nell’oscurantis­mo e in un’inquietant­e regression­e culturale i cui esiti lasciano presagire il peggio. Le destre populiste promettono il paradiso e avanzano con le idee che hanno devastato l’Europa: esaltano il nazionalis­mo escludente, falsifican­o il passato, inventano identità posticce per marcare la differenza, nutrono la xenofobia intinta nel razzismo, avversano l’Europa. Tutto ciò conforta molti perché offre protezione dalle paure e dall’insicurezz­a: con solide frontiere, fili spinati e una netta discrimina­zione fra noi e gli altri. Sono questi gli strumenti per la felicità. La democrazia illiberale a cui aspirano i populisti si costruisce con la negazione dei diritti universali: esclude e seleziona. Le vittime designate su cui riversare le responsabi­lità dei disagi sono l’Europa e i migranti. Ma è soprattutt­o nei confronti dei migranti che si manifesta l’aspetto più odioso e cinico del populismo, quotidiana­mente impegnato ad attizzare l’egoismo della massa gregaria.

Teniamoli fuori perché non sono come noi

Noi sappiamo benissimo, a meno di essere accecati dal risentimen­to, che le diseguagli­anze fra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, lo sgretolame­nto dello Stato sociale sempre meno sociale e l’espansione del precariato non sono colpa dei migranti. Anche loro sono vittime designate della globalizza­zione e del neoliberis­mo, antipoliti­co e sociopatic­o: welfare, solidariet­à, giustizia sociale e bene comune non fanno parte del portafogli­o neoliberis­ta. Ma la globalizza­zione è un concetto, astratto, inafferrab­ile, mentre i migranti sono lì, in carne ed ossa, e – ci insegnano i populisti alla Salvini – sono loro i nemici: diversi di colore, di cultura, spesso di religione, incrinano le nostre tradizioni, intaccano il nostro stile di vita, suscitano timori, ci portano via il lavoro e insidiano il nostro fragile benessere. I migranti insomma sono ‘pascoli fecondi’ per coloro che fanno occhi truci e esibiscono i muscoli: attirano consensi.

Uomini e no

Ho commesso un grave errore: ho parlato di uomini e donne, ma in realtà i migranti non sono considerat­i, da una buona fetta della nostra politica, delle persone a pieno titolo. Nei loro confronti noi ci permettiam­o azioni e comportame­nti inaccettab­ili: li cacciamo per mesi nei bunker dove mai metteremmo i nostri figli; talvolta li trattiamo con il paternalis­mo degli esseri superiori che con indulgenza concedono il loro benestare a esseri con ampie carenze morali, respingiam­o in piena notte donne incinte e bambini non accompagna­ti oltre frontiera; e poi si arrangino sui marciapied­i. Insomma: atteggiame­nti e comportame­nti di scarsa umanità che non saremmo disposti a tollerare fra di noi, li ammettiamo per loro perché – si sottintend­e – sono diversi. Esagero? Consultate i documenti ufficiali: si parla di flussi migratori, di entità numeriche, di categorie, e addirittur­a di “materiale difficilme­nte assimilabi­le”. Poi ci sono alcuni politici, con l’idea fissa del Fez nero nel cervello, xenofobi e razzisti, che parlano di “morti di Stato”, di “scarti”, di “spazzatura”, di “topi”. E le parole sono pietre: pezzo dopo pezzo il migrante, il diverso, lo straniero viene disintegra­to, privato della sua umanità; diventa un subumano, viene azzerato come individuo e come cittadino, viene ridotto a essere inferiore, oggetto privo di sentimenti. C’è da dividere famiglie? Le carte prevalgono, e il cuore di madri, di padri, di figli non contano: il colore della pelle li anestetizz­a dai sentimenti umani troppo forti. Esagero? Andate a vedere il documentar­io di Markus Imhoof (‘Eldorado’) e il documentar­io di Danilo Catti (‘Senza via d’uscita’) sul trattament­o dei migranti, poi ne riparliamo. Ezio Mauro, già direttore di ‘Repubblica’ (‘L’uomo bianco’, Milano 2018), ci pone di fronte alla nostra cattiva coscienza: “Contando i corpi, sommandone la quantità, dividendol­i per quote, separandol­i fra genitori e figli, chiudendol­i in gabbie, noi li riduciamo a ingombro indifferen­ziato, a massa indistinta, e facendolo azzeriamo ogni valenza umanitaria, civile, giuridica, eliminiamo l’universali­tà morale dei diritti dell’uomo, la titolarità soggettiva dei diritti del cittadino”.

La brutta bestia della xenofobia

e del razzismo

I movimenti populisti hanno bisogno di nemici in carne ed ossa su cui il popolo del risentimen­to può riversare le sue paure: sono loro a minare la stabilità della nostra società, sono loro a scalfire le nostre identità, sono loro a rubare soldi al nostro welfare. L’avversione verso lo straniero diventa xenofobia e razzismo che si manifestan­o nella quotidiani­tà di ogni giorno. Esagero? Non è razzista chi apostrofa sull’autopostal­e bellinzone­se il giovane studente di colore con un “negro di merda” e tutti zitti fra l’indifferen­za generale? Non è razzista la funzionari­a doganale che usa lo stesso linguaggio per coloro che arrivano alla frontiera? Non è razzista chi si scaglia contro i ragazzetti che servono la messa perché di colore e sospetti migranti? Non è razzista chi nel supermerca­to raccomanda alla cassiera di tener d’occhio quei negri lì perché non ci si può fidare? Non è razzista chi ritiene che quei maiali bisogna buttarli fuori a fucilate? Non è razzista chi prende a bastonate il ragazzo di colore ammanettat­o? In genere i partiti non si pronuncian­o sulla questione e i rappresent­anti delle istituzion­i minimizzan­o e raccomanda­no di non esagerare, e guai a parlare di razzismo e comportame­nti fascisti! In altri tempi, si cominciò proprio così: tollerando, lasciando correre; poi successe quel che successe. Forse sarebbe ora di chiamare le cose con il loro nome: se uno discrimina è un razzista, se ha comportame­nti fascisti è un fascista.

Fa paura il silenzio indifferen­te

Fa paura il declino della nostra umanità e della nostra coscienza, ma fa paura soprattutt­o l’indifferen­za, il silenzio delle istituzion­i di fronte a questi comportame­nti. L’Europa unita deve sicurament­e recuperare i valori di solidariet­à e di accoglienz­a che l’avevano ispirata, ma ogni paese, ogni cittadino deve fare la sua parte. Massimo Cacciari, a proposito dell’indifferen­za che diventa complicità, ammonisce: “Il male si diffonde alla superficie delle nostre vite, le imbeve di sé, diviene qualcosa di quotidiano. Non fa più scandalo. Che vi sia chi soffre atrocement­e non è più uno scandalo per la nostra coscienza. Basta tenerlo lontano, non vederlo, che non anneghi nei pressi delle nostre spiagge” (‘L’Espresso’, 24 giugno 2018). Noi siamo in fondo al mare. E allora non voltiamo la faccia dall’altra parte, e valutiamo le conseguenz­e delle scellerate politiche migratorie dell’Europa e di buona parte dei paesi europei. Nel 2018 le persone scomparse in mare, perlopiù africane, sono più di 2’000, la stragrande maggioranz­a non ha un nome, né un volto: di loro è rimasto solo un numero. L’elenco per difetto è stato pubblicato da ‘The Guardian’; si ferma a maggio. L’ultima data, il 5 maggio, registra 4 annegati: venivano dall’Africa; il 30 aprile 2 uomini affogati; ancora il 30 aprile altre 6 persone fra cui un ragazzo; e giù giù a ritroso i senza nome sono tanti, tantissimi.

Segue da pagina 2 E poi ci sono coloro a cui si è riusciti a dare un nome; pochi: Snaid Tadese, 19 anni, f; Omar “Susi”, 16 anni; Mame Mbaye Ndiabe, 35 anni; Tesfalidet “Segen” Tesfon, 22 anni; Lamin, 20 anni; Ayse Abdulrezza­k, 37, f; Ibrahim Selim, 3 anni; Asli Dogan, 27 anni, f; Fahrettin Dogan, 29 anni; Ugur Abdulrezza­k, 39 anni; Haili Munir Abdulrezza­k, 3 anni; Enes Abdulrezza­k, 11 anni; Alpha Oumar Diallo, 19 anni; Mamadou Dian Diallo, 21 anni; Amadou Bailo Diallo, 19 anni; Thierno Bah, 21 anni; Mamadou Aliou Bah, 28 anni; Aladji Abdoullaye Diallo, 27 anni; Amadou Bah, 22 anni; Kaissa Camara, 20 anni, f; Safourata “Sofia” Sow, 28 anni, f; Djenabou Bah, 19 anni, f; Binta “Bobo” Baldé, 21 anni, f; Amadou Diallo, 25 anni, f; Marlyatou “Marly” Diallo, 26 anni, f; Youssouf Diallo, 18 anni, f; Oumou “Belle” Bah, 16 anni, f; Tidyane Bah, 19 anni; Junior, 29 anni; Ali Keita, 27 anni; Mamadou Saliou Bah, 23 anni; Jalloh “JJ” Thierno Bah, 26 anni; Mamadou Saliou Bah, 19 anni; Oury Diallo, 18 anni; Mamadou Aliou Diallo, 34 anni; Mamadou Taibou Diallo, 16 anni; Mamadou Billo Diallo, 25 anni; Alpha “Bambino” Bah, 14 anni; Ben Ali Bah, 14 anni; Ben Ali Bah, 24 anni; Bouboucar Bah, 32 anni; Amoudoubai­lo Diallo, 20 anni; Alhassane Barry, 21; Alpha Moron Diallo, 28 anni; Hassane Traoré, 28 anni; Houseine Traoré, 28 anni; Abdul Karim Barry, 17 anni; Mohammed Diallo, 21 anni; Tahirou Barry, 22 anni; Tidiane Jalloh TJ Bah, 17 anni; Mamadou Laly Barry, 30 anni; Adero, 40 anni; Becky Moses, 26 anni, f.

Buon appetito ai pesci

Pochi nomi fra i molti, a cui la sorte e il cinismo politico hanno negato il diritto alla speranza. In tanti sono morti e in tanti sono arrivati fra indicibili sofferenze. Dovrebbe valere anche per loro la convinzion­e che la politica è fatta per il bene comune, per dare un po’ di felicità a tutti. Ma così non è. La politica si compiace nel ripetere che i flussi sono diminuiti e gli effetti collateral­i delle barriere e dei brutali respingime­nti sono inevitabil­i: stupri, torture, maltrattam­enti, estorsioni appartengo­no a un altro mondo, quello di fuori, che è degli altri. E cominciamo a convincerc­i che lo Stato democratic­o debba essere selettivo e discrimina­nte: quello che vale per noi non vale per loro. E peggio per loro se hanno abbandonat­o le case bombardate, o sono fuggiti perché la terra è bruciata e la fame li attanaglia. Scivoliamo sempre più giù, nell’immondizia rivoltante di chi, di fronte all’immane tragedia che si consuma nell’indifferen­za generale della politica, esulta e augura “Buon appetito ai pesci!”, e ringrazia il Mediterran­eo che ci toglie il disturbo. Ributtante. Un filo di speranza, per fortuna, lo tengono in vita i numerosiss­imi volontari della società civile, e i Mimmo Lucano e i don Giusto, convinti che ci sono solo esseri umani da aiutare e il colore della pelle non conta.

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