‘Capitalismo inclusivo’
‘Lasciate stare Jeff Bezos, questo è il momento di Marc Benioff’ era il titolo dato un mese fa dal sito business della Cnn a un servizio sul miliardario fondatore di Salesforce
Un imprenditore sulla cresta dell’onda non solo per la rapida ascesa della sua azienda regina del software (20 per cento l’anno di crescita media e una capitalizzazione di Borsa che, dopo i cali generalizzati del mese scorso, sfiora ancora i 110 miliardi di dollari) o perché, come il fondatore di Amazon che si è comprato il Washington Post, anche lui è diventato editore rilevando dalla Meredith la rivista Time.
La tassa sulle grandi società tecnologiche
Benioff, un peso massimo da tutti i punti di vista (alto un metro e 96, pesa più di 130 chili), lo sta diventando anche sul piano politico con le sue campagne per riformare il capitalismo rendendolo, come ama ripetere, ‘inclusivo’. La sua prima battaglia è quella per l’introduzione di una tassa sulle grandi società tecnologiche (come la sua), il cui gettito dovrebbe servire a risolvere il problema degli homeless, stabilmente accampati nel centro di San Francisco. Inserita in un referendum votato martedì corso dai cittadini della metropoli californiana, la proposta ha diviso gli imprenditori della città e della Silicon Valley. Praticamente Benioff contro tutti, con l’opposizione alla tassa guidata dai capi di Zynga, Lyft e, soprattutto, da Jack Dorsey di Twitter. Ma, alla fine, l’ha spuntata lui: Proposition C, il referendum per tassare le imprese maggiori (quelle con più di 50 milioni di fatturato), è passato con un’ampia maggioranza (60 per cento) dei voti dei cittadini.
Milioni agli homeless
La sua, comunque, non è stata una marcia trionfale: la proposta di destinare agli homeless altri 300 milioni di dollari è stata osteggiata non solo dalle aziende tecnologiche che verranno tassate, ma anche dal sindaco di San Francisco, London Breed: la prima donna di colore a governare la città. Secondo lei nella Bay Area si fa già abbastanza per i senzatetto: il problema, dice, non è spendere più soldi ma spenderli meglio. E il sito BuzzFeed accusa Benioff di aver adottato una linea populista per opportunismo: il desiderio di dare a tutti i costi un volto amichevole ed etico a Salesforce anche perché la società, sapendo vita, morte e miracoli di centinaia di migliaia di imprese sue clienti (cura i loro rapporti coi consumatori), rischia di apparire onnipotente. Anche per questo, i suoi manager non si stancano di ripetere che i dati dei clienti sono gestiti in compartimenti stagni separati e vengono utilizzati solo per promuovere le vendite delle aziende che si affidano a Salesforce.
Il modello dei tre uno
Ma Benioff i panni del benefattore non li ha certo indossati oggi. Fin dal 2000, l’alba della sua avventura imprenditoriale, introdusse il “modello dei tre uno”: un per cento della produzione e 1% del valore borsistico della società dati in beneficenza, più l’1% delle ore di lavoro dei dipendenti destinato a volontariato. Basta girare un po’ per San Francisco per capire quanto l’impronta di Benioff sia ormai profonda: tutti e due gli ospedali pediatrici della città, finanziati con 200 milioni di dollari di donazioni, portano il suo nome mentre la Salersforce Tower, il grattacielo più alto dell'America a ovest di Chicago, domina la skyline della città. Che a ottobre si trasforma per un’intera settimana in uno sterminato accampamento quando arrivano i 170mila ospiti che partecipano a Dreamforce, la convention annuale del gruppo.
Politica sì o no?
Una presenza ubiqua che spinge molti a parlare di Benioff come del vero sindaco di San Francisco. E c’è anche chi sospetta che l’imprenditore spenda così tanto in filantropia perché si prepara a scendere in politica. Marc, però, su questo è perentorio: “Non correrò mai per alcuna carica politica: il business è la migliore piattaforma per il cambiamento”. Ne è talmente convinto che ha già indicato come andrebbero ripartiti i fondi raccolti con la nuova tassa per un’assistenza davvero efficace: soldi per nuovi alloggi da destinare a chi non ha una
casa, ma anche un sostegno alle strutture psichiatriche che curano i tanti homeless malati di mente. Nato e cresciuto a San Francisco, Marc Benioff è il classico self made man americano: a 15 anni, ancora al liceo, fonda la sua prima società, Liberty Software, che produce videogiochi per un computer degli anni Settanta, l’Atari 8. Poi, nei primi anni Ottanta, mentre studia alla University of Southern California, svolge periodi di apprendistato nella divisione Macintosh della Apple, dove lavora con Steve Jobs che gli trasmette determinazione e carisma. Quindi lavora per 13 anni in Oracle, il gigante del software per le imprese, dove impara a sviluppare servizi informatici capaci di avvicinare gli utenti alle aziende. Nel 1990, ad appena 26 anni, è già vicepresidente, ma qualche anno dopo lascia Oracle e spicca il volo fondando Salesforce. Alla quale imprime subito, oltre a un forte dinamismo imprenditoriale,
anche l’impronta filantropica: il “modello 1-1-1” viene introdotto nel 2000, presto imitato da altre aziende della Silicon Valley, Google compresa. Beneficenza non solo per bontà d’animo, ma anche come scelta imprenditoriale: il ruolo filantropico del gruppo attira cervelli altruisti, migliora il clima interno e contribuisce a rendere Salesforce il luogo di lavoro più ambito. Oggi Benioff difende la tassa per i senzatetto sostenendo che per le imprese operare in un centro cittadino trasformato in accampamento da 7’500 homeless costa (anche per la perdita di clienti) più che pagare un modesto tributo aggiuntivo. Ma, scegliendo di andare controcorrente, lui si mostra pronto anche a cercare strumenti più radicali per contrastare la crescita delle diseguaglianze nella Bay Area: la sua visione di capitalismo inclusivo contrapposta all’immobilismo degli altri giganti di Big Tech, da lui accusati di scarsa sensibilità sociale.