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Wall Street ottimismo ritrovato

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a cura del CorriereEc­onomia Sostiene il Wall Street Journal che la Borsa abbia reagito con troppo entusiasmo alla (parziale) vittoria dei democratic­i alle elezioni di metà mandato. In effetti non si capisce se quel rialzo del 2,1%, mercoledì, unito a quelli dei giorni precedenti (e fa un +6,5% in 7/8 sedute), sia da ascrivere alla Camera persa dai repubblica­ni o piuttosto alla volontà di azzerare in breve tempo le perdite subite nella minicrisi di ottobre. A giudicare dall’effervesce­nte risposta seguita al risultato elettorale (come non si vedeva dal 1982), si direbbe che Wall Street abbia ritrovato l’ottimismo per entrambe le ragioni: quasi un paradosso, se si crede che due anni trascorsi in quasi costante euforia e con un progresso dell’S&P del 35% siano il prodotto del cosiddetto Trump rally, ossia dell’entusiasmo suscitato prima dalle promesse e poi da quanto ha fatto il presidente americano. Dalla reazione dei giorni scorsi si direbbe piuttosto che la Borsa abbia invece gioito per quello che Donald Trump non potrà probabilme­nte più fare nei prossimi due anni. In realtà c’è qualche dubbio che l’ascesa di Wall Street dal novembre 2016 possa essere interament­e attribuita a Trump, dal momento che la sola riforma davvero positiva per i mercati è stata quel taglio delle tasse che ha fatto volare gli utili aziendali di un ulteriore 1012% nel 2018, mentre l’indice S&P è salito 3 volte tanto. Le altre iniziative di Trump, in particolar­e la guerra tariffaria minacciata al mondo intero e dichiarata per ora solo alla Cina, unita a politiche di bilancio che hanno allargato il deficit federale, sono semmai un fattore di rischio per i mercati. Può darsi che Wall Street sia salita perché così è sempre successo nelle precedenti elezioni di metà mandato, come ci spiegano Goldman Sachs e T. Rowe Price: dal 1950 in poi, l’S&P sarebbe cresciuto del 20% nell’anno successivo le elezioni, quasi il doppio della crescita media annua dell’indice. Siccome non è detto che la statistica possa sempre spiegare il presente o predire il futuro, è utile soffermars­i sul solo aspetto che in quei dati storici appare convincent­e. La Borsa americana sale soprattutt­o quando il partito di governo finisce per controllar­e una sola delle due Camere, come ora: vale a dire quando un maggior bilanciame­nto dei poteri impedisce all’esecutivo di fare troppi danni. Nel caso in questione, una camera a maggioranz­a democratic­a che sia in grado, quantomeno, di mitigare le future (…)

a cura del CorriereEc­onomia

Segue da pagina 6 (…) iniziative di Trump in materia di dazi doganali e possa limitare l’ampliament­o del deficit federale. Se questo, come sembra, è il ragionamen­to di molti investitor­i, non è nemmeno il caso di rammaricar­si se verrà eluso l’ulteriore taglio fiscale promesso recentemen­te da Trump, che finirebbe per gravare pesantemen­te sulle già calanti entrate del Tesoro. In realtà le cose non cambierann­o molto nei prossimi due anni. Come spiegano concordi le grandi case d’investimen­to, le elezioni di metà mandato non hanno mai prodotto grandi mutamenti economici nel paese. Goldman Sachs fa notare che la politica commercial­e, e quella estera in generale, è prerogativ­a dell’esecutivo e dunque difficilme­nte condiziona­bile da un ramo del Parlamento. Tuttavia, con una Camera democratic­a sarà meno agevole approvare il nuovo accordo commercial­e con Canada e Messico, così come pretende il presidente. E, in ogni caso, il partito democratic­o potrebbe pretendere «correzioni ad altre leggi sul lavoro e l’ambiente» in cambio di una approvazio­ne. Di certo, un Parlamento diviso può correggere la direzione e l’intensità della spesa pubblica, a cominciare dalle promesse opere per le infrastrut­ture e la riforma dell’assistenza sanitaria. Ma le due questioni su cui lo scontro tra democratic­i ed esecutivo si farà più duro saranno la Fed e il bilancio dello Stato. Sottolinea Pictet come, dal 2015, sia ferma alla Camera una proposta di riforma della banca centrale nella quale Trump vorrebbe inserire gravi limitazion­i all’autonomia della Fed, come del resto s’era ben capito dai suoi attacchi verbali a Jerome Powell. Con una maggioranz­a democratic­a, questa riforma, non solo non dovrebbe passare, ma perderebbe­ro vigore pure le intemperan­ze finora mostrate verso una presunta politica monetaria restrittiv­a che andrebbe contro i desiderata della Casa Bianca. L’altra battaglia, nota Goldman Sachs, sarà sul deficit federale e il prossimo scontro, fin dai primi mesi del 2019, si giocherà sull’innalzamen­to del tetto al debito: e questo sarà davvero il fattore che più condizione­rà le iniziative di Trump. Per questo motivo, l’esito delle elezioni di metà mandato ci sembra più propizio ai titoli di Stato che alle azioni, poiché un maggior rigore nei conti pubblici tranquilli­zzerebbe un poco gli investitor­i, preoccupat­i per la quantità, quasi doppia, di Treasury che saranno emessi il prossimo anno. E, forse, contribuir­ebbe a rilassare anche i membri della Fed, che si vedrebbero meno pressati dalla politica e meno impensieri­ti dalle conseguenz­e della politica fiscale e commercial­e di Trump.

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