Verso una formazione solo a tempo pieno? Il coraggio di frenare
La formazione professionale ha riscontrato uno sviluppo considerevole. Gli sforzi a livello federale e cantonale hanno visto un grande sviluppo di offerte formative e una costante e progressiva professionalizzazione delle istituzioni formative. Un grandissimo impegno dettato anche dalla evidente constatazione di come, di norma, un livello più elevato di formazione tenda a corrispondere a un minor rischio di precarizzazione lavorativa nel tempo. Tutto bene allora? Sì, se si considera esclusivamente il quadro generale di offerte e opzioni praticabili, forse un po’ meno se si entra, e le condizioni generali ed economiche ci stanno costringendo a farlo, in un’ottica di analisi dell’efficacia, delle risorse impiegate e dei frutti a livello aziendale. In questi ultimi anni si è assistito al tentativo di far quadrare un cerchio di logiche e convinzioni che da comuni e fondanti si stanno rilevando vieppiù fragili. Una contraddizione che vede il sostegno idealizzato, talvolta di propaganda, del modello duale di formazione. Un sistema che però, di fatto da tempo, sta subendo un progressivo indebolimento grazie alla spinta sempre più marcata verso una formazione di base “duale” che vede il moltiplicarsi di opzioni scolastiche e curricoli a tempo pieno. Una tendenza frutto della crescente difficoltà nel conciliare esigenze produttive con esigenze formative e che sta prefigurando un mutamento della formazione professionale mettendo a rischio l’equilibrio naturale generato dai patti formativi tra azienda e giovani in formazione. Tra realtà produttive e società civile. La formazione professionale in Svizzera è fondata su di una solida solidarietà fra azienda e stato. Oggi in modo un po’ provocatorio nella speranza di essere smentito, sembra intravedersi all’orizzonte un progressivo distacco dal primato aziendale nei processi di crescita e sviluppo delle maestranze a favore di una scolarizzazione a tempo pieno diffusa. Una tendenza questa che, per quanto apparentemente positiva, deve essere osservata con profonda attenzione. Infatti, a medio-lungo termine, esiste un rischio evidente di impoverire la capacità del nostro tessuto produttivo nello sviluppare e perseguire costantemente la crescita di una Cultura aziendale della formazione. Aspetto che già ci vede un pochino in ritardo rispetto ad altre realtà regionali svizzere. Un rischio da non sottovalutare per le Associazione professionali impegnate sul campo, in cui lo scarico e la minore indiretta attenzione alla capacità formativa delle aziende del sistema formativo, potrebbe rilevarsi un boccone avvelenato per gli equilibri futuri tra lavoro e formazione, tra “know-how” aziendale e qualità produttiva e, in ultima istanza, tra aziende e solidarietà sociale delle stesse. In conclusione la mia convinzione personale è che oggi il miglior investimento che si possa fare per la creazione di opportunità di formazione, non stia tanto nel moltiplicare le offerte formative o nel delegare le stesse a percorsi formativi di base a tempo pieno, ma vada ricercato nel consolidamento del valore e del ruolo formativo delle aziende attraverso un maggiore sostegno diretto al loro determinante compito di formazione.