Granaio, non è un buon affare
Le trattative per l’accordo di libero scambio con l’Ue scatenano una levata di scudi nei Paesi del Mercosur, dove la società civile teme una perdita di impieghi nel settore industriale e il rafforzarsi di un’economia basata sull’esportazione di materie pr
Il minimo che si possa dire è che i negoziati per l’accordo di libero scambio tra l’Efta/Aele (Associazione europea del libero scambio) e i paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay) sono passati quasi inosservati presso la società civile di questi paesi. La maggior parte delle associazioni e dei sindacati, infatti, non sono nemmeno al corrente dello svolgimento di queste trattative, cominciate l’anno scorso in un contesto quantomeno fumoso. Nel maggio 2018 la visita di una delegazione guidata da Johan Schneider-Amman ha attirato per un istante la luce dei riflettori, ma la Svizzera, la Norvegia, l’Islanda e il Liechtenstein sono paesi troppo piccoli per balzare agli onori della cronaca nella realtà latinoamericana. I negoziati con l’Ue, invece, risalgono al secolo scorso e suscitano un’opposizione viscerale da parte di sindacati, Ong, deputati parlamentari e organizzazioni padronali. Iniziate nel 1995, sospese tra il 2004 e il 2010, queste trattative hanno ritrovato un nuovo slancio negli ultimi anni con l’affermazione di vari governi liberali nel continente. Benché le due trattative siano tenute segrete (con l’eccezione di qualche fuga di notizie per quel che riguarda i negoziati con l’Ue), sappiamo per esperienza che i due casi faranno riferimento essenzialmente alle stesse disposizioni. I timori della società civile dei paesi del Mercosur sono quindi giustificati anche per gli accordi con l’Efta/Aele.
Nessuno studio d’impatto
sui settori sensibili
In riferimento alle trattative, la Coordinadora de Centrales Sindicales del Cono Sur (rappresentante del sindacalismo nel Mercosur) e la Confederazione europea dei sindacati denunciano le criticità di un accordo asimmetrico tra paesi, che implicherebbe uno sviluppo non equo e non prevede un trattamento speciale e differenziato per i paesi meno sviluppati. Le due sigle sindacali lamentano l’assenza di studi d’impatto sui settori sensibili, che permetterebbero di valutare le misure di accompagnamento necessarie a livello di protezione della produzione e impieghi delocalizzati o trasformati. Questo perché l’abbassamento dei dazi doganali, troppo repentino e drastico, rischia di compromettere le politiche industriali e commerciali dei paesi del Mercosur, le cui industrie non sono sufficientemente competitive per rimanere concorrenziali rispetto alle importazioni a costo irrisorio di provenienza europea e svizzera, e necessitano pertanto di essere tutelate. In Svizzera la stessa richiesta è stata formulata da Alliance Sud e Public Eye. Presa a carico dalla Commissione della gestione del Consiglio nazionale, il Consiglio Federale vi oppone però un rifiuto categorico, come reiterato nella risposta all’interpellanza di Maya Graf, in cui concede tutt’al più uno studio d’impatto su alcuni dei settori ambientali sensibili.
Piccole e medie imprese a rischio
Le centrali sindacali argentine rigettano a loro volta l’accordo con l’Ue, che andrebbe a firmare la condanna a morte dell’industria nazionale. Più precisamente, l’accordo avrebbe un impatto negativo sulla produzione nazionale in generale e su alcuni settori strategici in particolare, come ad esempio la tecnologia, il trasporto marittimo e fluviale, le opere pubbliche, i mercati pubblici, i laboratori medici, l’industria automobilistica e le economie regionali. Le centrali denunciano anche l’insufficienza delle misure di promozione e protezione delle Pmi. La Svizzera ha adocchiato l’immenso mercato del Mercosur, che comprende 275 milioni di consumatori ed è ancora relativamente protetto. I dazi doganali sui prodotti industriali si attestano mediamente al 7%, ma possono raggiungere il 35%. L’ambizione è soprattutto quella di aumentare le esportazioni di prodotti chimico-farmaceutici e di macchinari. Stupisce piuttosto, in una rara convergenza d’intenti, la presa di posizione comune delle centrali industriali del Mercosur (organizzazioni padronali). Queste ultime hanno adottato una dichiarazione molto dura che richiede la trasparenza delle trattative, delle condizioni che permettano ai settori coinvolti di adattarsi alla nuova realtà e un accordo equilibrato, che riconosca le differenze di sviluppo tra le parti. Si domanda una “clausola di sviluppo industriale” e la salvaguardia di diversi strumenti di protezione degli impieghi. Julio René Sotelo, deputato argentino al Parlamento del Mercosur, in una colonna intitolata “Essere il granaio del mondo non è un buon affare” rimette in questione la logica stessa dell’accordo,
che farebbe del Mercosur un esportatore di derrate agricole a scapito della produzione industriale indigena. Solo in Argentina, difatti, l’accordo con l’Ue metterebbe a rischio 186’000 impieghi nell’industria. Sotelo denuncia anche la perdita di sovranità che l’accordo sancirebbe, andando pure a minacciare l’integrazione regionale. In un paese confrontato a un’inflazione galoppante (a fine 2017 servivano 19 pesos argentini per 1 Usd, ora ne servono quasi 40), dove il prezzo dei prodotti importati aumenta ogni giorno, urge uno sviluppo dell’industria nazionale che permetta di non essere dipendenti dalle importazioni.
Agro-industria a scapito
dei piccoli contadini
In una presa di posizione pubblicata a febbraio 2018, le Ong locali firmatarie ribadiscono: l’accordo con l’Ue (e l’Efta/Aele) andrebbe soprattutto a beneficio delle élite agro-esportatrici del Mercosur, che cercano di rafforzare le esportazioni basate sul bestiame industriale e la soia. “Se l’accordo dovesse essere firmato, acutizzerà i problemi che l’agro-industria sta già causando nella regione: deforestazione, espulsione dei contadini, inquinamento da agro-tossine, distruzione delle economie regionali, perdita di sovranità alimentare e crescente vulnerabilità alimentare.” Aggiungono le Ong: “I piccoli contadini e le aziende agricole a gestione familiare producono la maggior parte delle derrate alimentari della regione. Il modello imposto dall’accordo favorisce il controllo territoriale da parte dell’industria agroalimentare ed intensificherà la violenza, la criminalizzazione e le persecuzioni che già oggi le comunità contadine subiscono”. I sindacati del Mercosur temono anche che l’adozione di regole flessibili sull’origine dei prodotti comporterà la delocalizzazione della produzione in paesi terzi dove i diritti del lavoro non sono rispettati. Denunciano la deregolamentazione dei servizi strategici, tra cui i servizi pubblici e l’affermazione dei diritti di proprietà intellettuale, che renderanno più lunga, difficile e onerosa la commercializzazione di medicamenti generici.
Commercializzazione ritardata
dei generici
Non è un timore infondato quello della messa in commercio ritardata dei farmaci generici, come ci insegna il caso della Colombia. Qualche anno fa la Seco ha contestato, sulla base degli accordi di libero scambio e investimento, l’intenzione di Bogotà di commercializzare un generico del Glivec, un anticancerogeno prodotto dalla Novartis. La Svizzera dispone già di accordi di protezione degli investimenti con l’Argentina, il Paraguay e l’Uruguay, ma non con il Brasile, che non ha sottoscritto questo genere di accordi con alcun paese. Il prolungamento dei diritti di proprietà intellettuale al di là dei 20 anni previsti dall’Omc faciliterebbe l’agire di quelle imprese svizzere che volessero sporgere reclamo contro questi paesi. Gli accordi di libero scambio abitualmente prevedono anche l’adesione alla convenzione Upov 91, che rende molto più difficile lo scambio e l’utilizzo di sementi per i contadini, generando una privatizzazione accresciuta del settore in delle realtà nazionali dove gli Ogm sono peraltro già ampiamente affermati. Infine, le imprese europee e svizzere avranno accesso ai concorsi pubblici a fianco delle imprese statali nei paesi del Mercosur. Conseguentemente, queste ultime dovranno essere amministrate come imprese commerciali e confrontarsi alla concorrenza straniera, perdendo la loro funzione di enti pubblici esclusivi a regolamentazione statale. L’economista argentino Claudio dalla Croce riassume la dinamica spiegando come associazioni dei produttori, Ong, sindacati, organizzazioni padronali, accademici, movimenti sociali, uomini politici e deputati abbiano impedito, per ora, la sottoscrizione di un accordo (con l’Ue) decisamente sfavorevole per il Mercosur. Vedremo chi, tra Efta/Aele e Ue, riuscirà a concludere le trattative. Forse né l’una né l’altra.