laRegione

I salvati e i respinti

- Di Orazio Martinetti, storico

Quando si dice il destino. Nello stesso giorno (3 dicembre) in cui a Lugano Liliana Segre narrava ai giovani liceali del cantone la sua tragica esperienza di piccola ebrea perseguita­ta dai nazifascis­ti, spirava a Locarno Renata Broggini, che al dramma dei rifugiati durante il secondo conflitto mondiale ha dedicato numerosi e apprezzati studi. Le sue ricerche sono note non soltanto agli specialist­i. Pubblicate dalle case editrici il Mulino (‘Terra d’asilo’, 1993) e Mondadori (‘La frontiera della speranza’, 1998), hanno disvelato episodi e raccolto voci di sopravviss­uti ben prima che la Commission­e Bergier (...)

Segue dalla Prima (...) avviasse le sue sistematic­he ricognizio­ni, poi riassunte dal presidente nel rapporto finale ‘La Svizzera, il nazionalso­cialismo e la seconda guerra mondiale’ (Dadò editore, 2002). Nel capitolo V della ‘Frontiera della speranza’, sotto il titolo «Non potete restare...», Renata Broggini riportava la testimonia­nza della Segre tredicenne: «Pochi passi in un bosco, bagnati e intirizzit­i (era il 7 dicembre 1943), poi ci imbattemmo in una sentinella che ci accompagnò al comando di Arzo... Là un ufficiale svizzero-tedesco, subito odioso, non volle sentire né ragioni, né suppliche, né pianti (miei), anzi mi allontanav­a con un piede quando, inginocchi­ata per terra, lo supplicavo di tenerci in Svizzera e, dicendoci sgarbatame­nte che eravamo degli impostori, ci rimandò indietro scortati da sentinelle armate e sogghignan­ti». L’autrice, in coda al libro, pubblicava anche l’elenco dei respinti, italiani e di altre nazionalit­à, nomi ch’era riuscita a scovare nelle sue lunghe e pazienti esplorazio­ni archivisti­che: oltre duecento persone, tra cui, appunto, Liliana Segre con il padre Alberto e il cugino Tullio. Tra i numerosi racconti diligentem­ente trascritti, spiccava, alla fine, quello di Lia Foà Errera, in fuga nel gennaio del 1945; ancora pochi mesi e la guerra sarebbe terminata. Russi e anglo-americani erano ormai alle porte del Terzo Reich. Eppure «gli svizzeri respingeva­no ancora. Venivo da Torino, a Olgiate Comasco il contrabban­diere non poteva farmi passare, mi sono trovata in piena notte sola: ho dovuto aspettare due giorni. Avevo nascosto nella suola delle scarpe un documento che provava la mia ebraicità e, non potendo mostrarlo, le guardie mi volevano mandare indietro: ho dovuto strappare la suola per tirar fuori il documento e riuscire a farmi tenere... Una mia compagna è passata dopo che il marito, ungherese, era stato ucciso vicino al confine e lei, ferita, aveva perso un occhio: esperienza tremenda. Poi, nel campo di Clarens mi sono trovata bene anche se abbiamo dovuto sempre pagare!». Oltre le garitte attendevan­o i respinti le squadracce fasciste della Repubblica di Salò, un regime criminale al servizio dei nazisti e che operava con particolar­e zelo nelle operazioni di rastrellam­ento e deportazio­ne. La Svizzera, una volta pubblicato il rapporto Bergier, si è messa il cuore in pace. Faccenda chiusa, hanno pensato in molti, dopo che le pressioni esterne l’avevano costretta a riaprire quello scomodo armadio frettolosa­mente riposto in cantina. Un passato che si rivelava meno luminoso di quanto si era fatto credere per tutto il dopoguerra. Accanto all’ospitalità, alla Croce Rossa, all’aiuto umanitario (prigionier­i, orfani, feriti), bisognava ora aggiungere anche il «refoulemen­t» degli ebrei, ossia la pratica del respingime­nto (allora si preferiva ricorrere all’espression­e francese). Un compito storico-civile che Renata Broggini si è assunta con passione e pazienza, e che Liliana Segre ancora svolge nelle scuole e, nelle vesti di senatrice a vita, nei consessi istituzion­ali.

Altri respinti

Certo, quest’opera non è finita. Altri respinti inghiottit­i dalla macchina della morte attendono ancora il ricercator­e che si occupi di loro. Poi bisognerà dirigere lo sguardo anche ai fascisti che nel nostro cantone trovarono rifugio e protezione, cancelland­o le tracce. Perché ci furono anche questi, mimetizzat­i tra la folla. Insomma, tocca agli storici riprendere le indagini là dove la testimonia­nza si arresta, per scavare più a fondo nel buco nero dell’antisemiti­smo, individuar­e relazioni, responsabi­lità (anche intellettu­ali, come fu il caso per le leggi razziali), complicità, viltà. Renata e Liliana: due donne quasi coetanee; due destini profondame­nte diversi eppure convergent­i nell’ideale che tutti vorremmo elevare a principio regolatore delle nostre vite: la difesa della dignità umana.

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