laRegione

Angela e Annegret difficile eredità

- Di Aldo Sofia

Era stato il suo predecesso­re socialdemo­cratico Gerhard Schroeder a teorizzare che in Germania “senza il controllo del partito non si può rimanere cancellier­e”. Così avvenne puntualmen­te nel 2005, quando perse la guida dell’Spd. Una regola che Angela Merkel aveva fatto propria gestendo personalme­nte la Cdu per ben diciotto anni. Con l’improvvisa decisione di contraddir­e questa profonda convinzion­e, annunciand­o la rinuncia alla presidenza del partito democristi­ano mantenendo però quella di capo del governo, aveva dunque deciso di affrontare un grosso rischio.

Segue dalla Prima Il rischio, se al congresso di Amburgo avesse vinto il suo eterno rivale Friedrich Merz, di infilarsi in una impossibil­e coabitazio­ne. Convinto di poter riconquist­are “almeno la metà” dei voti democristi­ani finiti nel paniere elettorale di “Alternativ­e für Deutschlan­d” – partito populista con forti venature nostalgich­e e decisament­e euro-fobico – il milionario Merz avrebbe spostato ancora più a destra la linea politica della Cdu, contrastat­o pesantemen­te le iniziative della “cancellier­a del compromess­o”, accresciut­o il già consistent­e tasso di contestazi­one interna, così rendendo impossibil­e la loro convivenza. Pericolo scampato, almeno per ora. La maggioranz­a dei 1’001 delegati della Cdu ha infatti consegnato il timone del partito (anche se di misura) ad Anne- gret Kramp-Karrenbaue­r, chiamata anche Akk, la cattolica 56enne, tre figli, volontà di ferro e scarso carisma, che esprime l’anima più sociale del partito (salario minimo, tasse per i più ricchi), ma anche posizioni meno aperte sul tema dell’immigrazio­ne e dei matrimoni gay, e che un anno fa la stessa cancellier­a aveva praticamen­te designato come sua erede, affidandol­e il ruolo di segretario generale della Cdu. Una “mini Merkel”, l’hanno definita, e non solo con riferiment­o alla sua statura o al fatto di essere stata la governatri­ce della Saar, il più piccolo Land del Paese. Una rappresent­azione a doppio taglio: indispensa­bile per sciogliere fra i delegati di Amburgo il nodo della sua ascesa alla testa del partito, ma anche insidiosa nel momento in cui la popolarità della cancellier­a al suo quarto mandato è ai minimi storici, come testimonia il rosario di sconfitte elettorali registrate negli ultimi anni in diversi Länder. Così, l’associazio­ne della sua immagine con quella di chi l’ha voluta al suo fianco non è necessaria­mente un vantaggio politico per la seconda donna che in Germania potrebbe aspirare anche alla guida della nazione. È la principale insidia per questo tandem al femminile alla guida di un partito fratturato. Sembra del resto che ad Amburgo circolasse la battuta “ha perso l’Spd, ha vinto l’Afd”. Nel senso che nel segno della continuità i socialdemo­cratici dovrebbero continuare a temere il ‘centrismo cannibaliz­zante’ di una “mini Merkel” che continuass­e a laminare elettoralm­ente i partner della Grosse Koalition, mentre per lo schieramen­to dell’estrema destra la scelta di Akk sarebbe il meglio che potesse capitare per le future fortune politiche dei sovranisti tedeschi. Smentirli non sarà facile per Angela e Annegret.

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