Theresa May: ‘O la mia Brexit o elezioni anticipate’
Domani Theresa May si giocherà, in una sola mano, il destino del governo – e forse quello della Brexit – nella ratifica dell’accordo di divorzio dall’Ue atteso al voto della Camera dei Comuni sotto i peggiori auspici per la premier britannica. Un appuntamento da ‘rien ne va plus’ che l’inquilina di Downing Street non intende – e probabilmente non può – posticipare. Ma al quale, contro tutte le previsioni, insiste a non accettare di presentarsi quale vittima sacrificale designata. Le sue ultime carte per provare (c’è chi dice disperatamente) a rimettere in riga i molti oppositori di Westminster, soprattutto il variegato quanto bellicoso fronte dei ribelli di casa sua, si esauriscono in un aut aut affidato alle colonne del popolare ‘Mail on Sunday’: o il mio accordo o la prospettiva di elezioni anticipate, con il possibile arrivo a Downing Street del leader laburista Jeremy Corbyn e “niente Brexit”, avverte la signora primo ministro dopo aver tentato invano di far valere per settimane le armi della persuasione, dell’appello “all’interesse nazionale” o del richiamo minaccioso alla disciplina di partito e di coalizione. Di fatto si tratta dell’ultimo avviso ai Conservatori più indocili – oltre che ai furiosi alleati della destra unionista nordirlandese del Dup – a non farsi facili illusioni. A non pensare che l’affondamento del compromesso faticosamente chiuso con Bruxelles possa spianare una strada men che accidentata verso un’intesa migliore (più hard o più soft, a seconda delle preferenze) o magari verso quella rivincita referendaria a cui settori trasversali del parlamento guardano in queste ore con rianimata fiducia. Spinti anche da un ultimo sondaggio di Bmg che dà ora i ‘Remain’ al 52% nel Paese. La premier ammonisce intanto sul ‘Mail’ che una bocciatura del suo testo sarebbe foriera di “gravi incertezze” e porterebbe il Regno Unito “in acque inesplorate”. Non senza evocare apertamente lo sbocco potenziale d’uno scioglimento dei Comuni, d’una vittoria di Corbyn e – alla fine della fiera – di una “no Brexit” divisiva per l’isola. Epilogo paventato come un “tradimento” proprio ieri a Londra da migliaia di manifestanti portati in piazza dall’emergente tribuno dell’ultradestra Tommy Robinson (volto nuovo d’un Ukip radicalizzato con cui pure Nigel Farage ha rotto i ponti); rimbeccati al grido “no al razzismo” dal contro-raduno della sinistra laburista di Momentum. E tuttavia un epilogo che non sembra fermare i venti del dissenso anti-May a Westminster fra i banchi d’una maggioranza a pezzi. Come confermano le parole di Boris Johnson, che a nome dei falchi euroscettici ha ribadito alla Bbc di considerare non votabile la proposta May, salvo l’inverosimile eliminazione del backstop imposto da Bruxelles sul confine Irlanda-Irlanda del Nord. ANSA