Né troppo alto, né troppo basso
Gli Stati Uniti sono il primo consumatore mondiale di petrolio. Grazie all’aumento costante della produzione di scisto e alle vaste riserve di gas naturale, gli Stati Uniti sono pure diventati il principale produttore mondiale di petrolio e carburanti liquidi, seguiti dalla Russia e l’Arabia Saudita. Vedono all’orizzonte l’indipendenza energetica. Preferiscono tuttavia un mercato mondiale dell’energia aperto e stabile. Un prezzo troppo alto penalizza i consumatori americani, troppo basso gli Stati estrattori del Sud. Per la Russia, grande esportatrice, un prezzo sufficientemente alto e stabile permette di finanziare lo sviluppo dell’economia, alimentare il fondo di riserva in valute estere e evitare le fluttuazioni erratiche dell’economia. L’Arabia Saudita ha progetti ancor più ambiziosi per riorientare la sua economia. Dipende però dagli Stati Uniti per la sua sicurezza e può subire pressioni politiche. Il suo principale atout sono le importanti capacità eccedentarie che permettono di aumentare la produzione nel breve periodo quando i prezzi sono elevati. In caso di calo di prezzo, la produzione di scisto statunitense tende a scendere con un ritardo di alcuni mesi. I prezzi depressi del 2016 hanno invece spinto russi e sauditi a tagliare la produzione con un accordo Opec+. Dalla primavera, russi e sauditi hanno aumentato la produzione in vista della reintroduzione delle sanzioni statunitensi contro l’Iran. Le esenzioni poi introdotte dagli Stati Uniti per evitare tensioni sul mercato hanno provocato un calo del petrolio del 35% in soli due mesi. Il prezzo del greggio è oggi da considerare basso. Chi farà la prima mossa? Gli Usa tagliando le esenzioni o il duo russo-saudita con un nuovo accordo Opec+?