L’aldilà? Non sarà così male
La Morte sul palco del Lac con Gardi Hutter e ‘Gaia Gaudi’, la sua ottava creazione
Lo spettacolo, dopo le due date luganesi, approderà al Sociale di Bellinzona il 19 e il 20
Una serata speciale si riconosce ancor prima che inizi dalla cornice che riesce a creare attorno a sé. Per l’arrivo al Lac del nuovo spettacolo di Gardi Hutter&Figli, l’attesa ha fatto sì che la sala si riempisse (sino a sfiorare il tutto esaurito) di facce che si vedono raramente a teatro. Le tre lingue nazionali ampiamente rappresentate e folta presenza anche di giovani “alternativi”, per l’ottava creazione della clown più popolare della Svizzera in quasi 40 anni di carriera, occhio e croce una nuova produzione a lustro. Inoltre, per l’occasione e per la prima volta, Gardi era accompagnata dai due eredi – in senso lato: Neda e Juri Cainero, musicisti/cantanti (lei è anche danzatrice) cui si deve la ricca, polifonica colonna sonora di questo “Gaia Gaudi”. Già visti sul palco con papà Ferruccio, i due hanno accettato la proposta della mamma, curiosa di vedere cosa poteva saltar fuori dall’incontro tra due modi d’espressione artistica apparentemente molto lontani: danza e musica con particolare attenzione alla New Age da un lato, pura clownerie dall’altro. I tre complici (cui si è aggiunta Beatriz Navarro, danzatrice e coreografa, nonché compagna di Juri e dunque nuora di Gardi) hanno scelto di sviluppare un tema impegnativo come quello della Morte. O meglio, come spiegano signorilmente i quattro autori, il ricambio generazionale. Certo non è facile spingere alla risata partendo dal concetto di Morte, ma naturalmente la maschera resa celebre e popolare dalla Hutter affronta “quel giorno che verrà per tutti” alla sua maniera; e dunque si ficca nella bara, al centro del palco, dove giace il suo doppio, con l’entusiasmo di un topo nel formaggio, armata di un collaudato gramelot fatto pure di sospiri e di mugugni, coi quali “la morta che non sa di esserlo” scherza e gioca col pubblico. Assiste poi attonita al primo corteo funebre in suo onore, reso lugubre da cori da monastero tibetano cui si affiancano ritmi occidentali, in perfetta armonia con le percussioni, ottenute da strumenti e oggetti anche poco convenzionali. Libera d’immaginarsi un aldilà secondo i suoi desideri e i suoi capricci, Gaia sorride quando si chiude la bara fischiettando “That’s Amore”, quando vede i candelabri ai lati del sarcofago diventare trombe dalle quali escono armonie celestiali. Una valigia rossa, però (quasi come quel punctum scarlatto di “Schindler’s List”), torna più volte a turbarla. Le fanno meno paura quegli uccellacci dal becco così sinistro da sembrare uno stormo di pterosauri nel cielo di Jurassic Park (molto efficaci costumi e coreografia). Niente tuttavia le toglie l’ottimismo, e dunque via con un nuovo immaginario aldilà. Stavolta, ad accoglierla come una Regina, un inno da bersagliere “con la piuma sul cappello”. Ma è una so-
vrana dispotica e crudele come quella di Alice nel Paese delle Meraviglie, che sogghigna quando urla “tagliategli la testa!”. C’è tempo per un omaggio ai Fratelli Marx (la danza davanti a uno specchio immaginario della “Guerra lampo”) e poi altro giro, altra corsa: stavolta popolato da simil cefalopodi che certo devono qualcosa all’arte dei Mummenschanz. Qualcuno ricorda la mamma scomparsa
da ics generazioni. Gaia sembra allora anch’essa spegnersi come la nonna vittima designata della “Ballata di Narayama” e, convinta più che rassegnata o peggio ancora intimorita, s’infila in quella fatale valigia rossa. Appena il tempo di scomparire miracolosamente (lei dal seno e il lato B decisamente spropositati!) ed ecco che un passeggino con tanto di neonato attraversa tutto il palcoscenico,
spinto da una mamma felice… Messaggio ottimistico in uno spettacolo ricco e composito, dove la cesura tra atmosfere misticheggianti e la sperimentata clownerie di Gardi Hutter talvolta si fa un po’ stridente. Ma la bravura degli interpreti nel proporre le loro mille trovate ha portato il pubblico alla standing ovation, felice d’intonare un “Gaia Ga-udi” finale a mo’ di jodel!