Il miglior Attila possibile
Nel progetto verdiano di Riccardo Chailly, si inserisce questa inaugurazione della stagione scaligera 2018-19 con un’opera “Attila” che lo stesso Verdi in una lettera alla contessa della Somaglia dopo la prima alla Fenice (17 marzo 1846) riteneva di alterna intensità drammaturgica e musicale. Sfida quindi importante quella di Chailly, che si è premurato di assicurarsi il miglior Attila oggi possibile, il basso Ildar Abdrazakov, già applaudito al Met con Muti sul podio agli inizi del 2010, e il russo canta bene, dà la sensazione di comandare il personaggio, ma anche di limitarsi nell’accontentarsi di una egregia, ma monotona, esecuzione. Così anche un direttore come Chailly, fine musicista, sembra accontentarsi di una lettura che, per regalar quarti di nobiltà a un giovane Verdi, si impone di negarne l’originale vitalità, il “cabalettismo”. Inutile cercare in questo Attila convinzione intima, fantasia, epicità, c’è una laconicità metronomica, sottolineata da una robusta presenza di immagini video con cui la regia di Davide Livermore cerca di risolvere la sua sfiducia nell’impianto drammaturgico verdiano, anteponendo a questo idee altre che nulla aggiungono se non confusione. L’“Attila” verdiano non è un circo, ma in mano a questo regista lo diventa, manca in lui il rispetto verso la partitura, non si pone il problema di accompagnare il dettato musicale, offre altro, un’altra storia e che siano omaggi a Tarkovskij o a Visconti o alla Cavani poco importa, avremo voluto vedere “Attila”. Saioa Hernàndez è un’Odabella di peso e svettante luminosità. La parte di Odabella è una delle più ardue tra quelle del primo Verdi, e lei qui si conferma artista di grande spessore e futuro. George Petean, buon baritono verdiano, è vocalmente un fin troppo nobile Ezio, ma manca di spessore, di intenzione, nel colorare il suo personaggio. Il tenore Fabio Sartori è stato un Foresto a doppia faccia, dopo un prologo balbettante, con difficoltà di intonazione e di tessitura, probabilmente dovuto all’emozione, si è rinfrancato senza però mai essere amante fino in fondo, senza mai avere il peso dell’esilio che il suo personaggio porta. Manca in atteggiamenti vocali, nella psicologia del personaggio, ed è un peso che risulta uguale per tutti i cantanti, per colpa delle scelte di una regia attenta ad altro.