laRegione

Ci risiamo: curare e denunciare

- Di Matteo Caratti

Ricordate il caso dei bimbi ecuadorian­i scolarizza­ti nel Gambarogno e poi espulsi durante le vacanze dei Morti? Il caso risale a qualche anno fa. Era il novembre del 2014, quando si innescò pubblicame­nte un braccio di ferro fra le istituzion­i cantonali: da un lato c’era il Decs di Manuele Bertoli e, dall’altro, le Istituzion­i di Norman Gobbi. Nel mezzo, a farne le spese, i più deboli: i bimbi-allievi ecuadorian­i, che malgrado la ‘pecca’ di non esser ufficialme­nte domiciliat­i da noi, a detta dell’autorità comunale erano comunque ‘ben integrati e contenti’ a tal punto da ‘non creare problemi’. Così si erano scontrate due visioni politiche: quella di chi alla testa delle istituzion­i mirava (ed è poi riuscito) a fare rispettare la legge, perché quei bimbi (uno scolarizza­to all’asilo e l’altro alle Elementari) non avevano le carte in regola, non andava quindi creato un precedente e andavano espulsi, loro e le loro famiglie; e quella diametralm­ente opposta, sostenuta dal Dipartimen­to dell’educazione di Manuele Bertoli, a tutela dei minorenni secondo le convenzion­i internazio­nali. Una sensibilit­à da noi presente sin dai tempi in cui – aveva ricordato in quel frangente l’ex capo Divisione scuola Diego Erba – “a livello istituzion­ale prevaleva un’etica ‘trasversal­e’ della salvaguard­ia dell’interesse dei più piccoli: il loro bene soprattutt­o e prima di tutto. Senza se e senza ma; e soprattutt­o senza argomenti pretestuos­i con cui minare un diritto fondamenta­le anche solo astratto”. Quei tempi, a cui faceva riferiment­o Diego Erba, erano quelli degli stagionali italiani che risiedevan­o da noi per 4-5 mesi l’anno e che – pur non avendone il diritto – venivano raggiunti da mogli e figli. E i figli venivano scolarizza­ti anche senza le carte in regola. A prevalere era il diritto dei minorenni all’istruzione. E chi dirigeva le istituzion­i non li scacciava, ma chiudeva sempliceme­nte un occhio. Se ricordiamo oggi quei fatti, terminati con l’espulsione degli ecuadorian­i, decretando la preminenza del rispetto della legge voluto dal Dipartimen­to delle istituzion­i rispetto alla prassi (e alle convenzion­i internazio­nali) preferite dal dipartimen­to responsabi­le della scuola, è perché qualcosa di simile sta ripetendos­i su un altro fronte. Quello della sanità, in seguito alla circolare inviata dall’Ente ospedalier­o ai nosocomi cantonali, con la quale si invitano i medici a segnalare alle Guardie di confine e alla polizia (con cognome, nome, data di nascita...) chi si reca all’ospedale se fa parte di determinat­e categorie di persone. Quali? Beh, ancora una volta quelle prive di documenti, ‘presumibil­i’ richiedent­i l’asilo, stranieri in transito o persone ‘sospette’ che si recano al Pronto soccorso, così da poter – continua la missiva – effettuare le verifiche/identifica­zione del caso, valutarne la situazione e assicurarn­e la corretta presa a carico/procedura’. Più chiari di così! La richiesta, formulata questa volta da un ente del Dipartimen­to della sanità e della socialità, ha già sollevato numerose reazioni critiche da parte dei medici e di alcune strutture sanitarie protetti dal segreto profession­ale a tutela dei pazienti sancito dalle leggi. Tanto che il deputato Matteo Quadranti si è chiesto in un’interrogaz­ione se non si tratti di istigazion­e alla violazione del segreto medico indirizzat­a al personale medico e sanitario. In ogni caso, la richiesta dell’Ente è rivelatric­e di un ulteriore giro di vite nei confronti di chi non ha diritti, nell’esercizio di un diritto ancora una volta fondamenta­le che è quello dell’accesso alle cure. Così va il mondo? Se lo vogliamo, se non lo vogliamo no. Questione di scelta: ‘Etica first’, potremmo dire parafrasan­do lo stile di uno Oltreocean­o che a dire il vero la considera piuttosto secondaria!

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