Ultima chiamata per la Brexit
Londra – Theresa May ha riattraversato la Manica alla ricerca affannosa di qualche concessione supplementare dall’Unione europea, dopo essere stata costretta a rinviare il voto sull’accordo per la Brexit ai Comuni, dove l’attendeva una sicura sconfitta. Non è detto che incontri comprensione. Anzi, i primi segnali non depongono a suo favore. Arrivata nel pomeriggio a Bruxelles al termine di una fitta serie di incontri – in mattina all’Aia con Mark Rutte, a pranzo a Berlino con Angela Merkel – la prima ministra ha incassato qualche mano tesa e manifestazioni di comprensione, ma anche le preventivate dichiarazioni ufficiali di fermezza sul fatto che l’intesa sottoscritta – nella sua voluminosa sostanza di 585 pagine – non si tocca. “È l’unica sul tavolo”, ha ribadito il presidente della Commissione, JeanClaude Juncker. E non è rinegoziabile, le ha ricordato la cancelliera Merkel. “Vogliamo aiutare Theresa May, la questione è come farlo”, ha concesso il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, sforzandosi di mantenere almeno le apparenze, dopo un confronto definito “franco”, aggettivo che in diplomazia sta per particolarmente duro. May, costretta a essere ottimista, ha spiegato ai giornalisti che i nuovi colloqui sono “solo agli inizi”, assicurando che la volontà di venirsi incontro “è condivisa” dagli interlocutori e insistendo sull’esigenza di una qualche “rassicurazione ulteriore” per allontanare anche la sola ipotesi teorica d’entrata in vigore del backstop: il meccanismo vincolante di salvaguardia del confine senza barriere fra Irlanda e Irlanda del Nord, visto come fumo negli occhi da molti deputati della lacerata maggioranza parlamentare britannica. Difficile che a Bruxelles siano ugualmente ottimisti. E a Londra l’attendono gli avvoltoi.