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Ai cittadini la parola sulle armi

Lanciata un’iniziativa per inscrivere nella Costituzio­ne le norme sull’export di materiale bellico Il testo mira a impedire le esportazio­ni di munizioni, fucili, pistole o carri armati verso Paesi che violano i diritti umani

- Ats/Bare

Che siano il Parlamento e la popolazion­e a decidere sulle esportazio­ni di armi. La tematica suscita parecchie emozioni ed è quindi auspicabil­e che anche i cittadini e suoi rappresent­anti possano esprimersi al riguardo. Per questo motivo ieri è stata lanciata l’iniziativa detta ‘di rettifica’, che intende inscrivere le norme sull’export di armi nella Costituzio­ne. Il testo mira a impedire le esportazio­ni di armi verso Stati che violano sistematic­amente e in modo grave i diritti umani, hanno spiegato ieri in una conferenza stampa a Berna i promotori. Attualment­e è il Consiglio federale che stabilisce i criteri che permettono a un’azienda elvetica di vendere armi ad un altro Paese. L’idea di lanciare l’iniziativa ‘di rettifica’ si è quindi sviluppata in seguito alla decisione presa la scorsa estate dall’esecutivo di permettere, a determinat­e condizioni, l’export di materiale bellico anche in Paesi teatro di una guerra civile. Tale decisione aveva suscitato veementi critiche nell’opinione pubblica, tali da convincere il governo, alla fine di ottobre, a fare un passo indietro. Ma ciò non basta secondo i promotori del testo. Un allentamen­to dei criteri di autorizzaz­ione per le esportazio­ni di armi è infatti già avvenuto nel 2014: dal primo novembre di quell’anno l’ordinanza sul materiale bellico prevede che bisogna solamente “tenere conto” dell’osservanza dei diritti umani all’interno del Paese destinatar­io. Secondo il consiglier­e nazionale verde liberale Beat Flach l’allentamen­to delle norme in materia non è compatibil­e con la tradizione umanitaria elvetica della Confederaz­ione e ne mina la credibilit­à. Lo scopo dell’iniziativa – al contrario di quella del 2008 lanciata dal Gruppo per una Svizzera senza esercito (Gsse), poi bocciata dal 68% dei cittadini – non è quello di vietare completame­nte l’export di armi: si tratta invece di introdurre “linee rosse” insuperabi­li nell’ordinanza sul materiale bellico, hanno sottolinea­to i promotori del testo. Secondo il presidente del Pbd e consiglier­e nazionale glaronese Martin Landolt i principi sulle esportazio­ni di materiale bellico sono molto importanti perché definiscon­o la posizione della Svizzera sulla scena internazio­nale e i sui valori umanitari. A suo avviso, in democrazia diretta, è necessario un dialogo con i cittadini su questioni così delicate. Landolt vede due strade per raggiunger­e questo obiettivo: da un lato in Parlamento è pendente una mozione del Pbd che mira ad inscrivere i criteri contenuti nell’ordinanza sul materiale bellico nell’omonima legge. Questo li renderebbe attaccabil­i mediante referendum. L’atto parlamenta­re è stato accolto dal Con-

siglio nazionale, ma gli Stati – anche in seguito al passo indietro fatto dal governo – lo hanno rinviato alla commission­e della politica di sicurezza. L’altra via è quella dell’iniziativa ‘di rettifica’. Il lancio di quest’ultima farà sì che la commission­e sarà consapevol­e della portata della sua decisione, hanno sottolinea­to i promotori.

Se poi il Consiglio degli Stati accoglierà la mozione come il Nazionale, allora si valuterà seriamente se ritirare l’iniziativa, hanno aggiunto. La raccolta delle firme è comunque iniziata e scadrà l’11 giugno 2020. «Siamo fiduciosi che riusciremo a trovare in fretta le necessarie sottoscriz­ioni», ha detto Lewin Lempert, segretario del Gsse. Sul sito internet dei promotori dell’iniziativa, già quasi 50mila persone hanno confermato il loro appoggio. A sostenere l’iniziativa ci sono poi diversi partiti, in particolar­e di sinistra, organizzaz­ioni ecclesiast­iche, Ong come Amnesty Internatio­nal, così come il sindacato Unia.

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KEYSTONE Per i promotori le attuali regole minano la tradizione umanitaria elvetica

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