Lo spazio di Paolo Nespoli
L’astronauta ha raccontato la sua esperienza ieri sera all’Università della Svizzera italiana
Dal sogno, inizialmente accantonato, di un ragazzino che voleva andare sulla Luna, alle missioni sulla Stazione spaziale internazionale ‘in cui fai di tutto, anche la cavia’
Appena 400 chilometri: non è lontanissima, la Stazione spaziale internazionale, se pensiamo ai 380mila chilometri che ci separano da quella Luna che il piccolo Paolo Nespoli sognava all’inizio degli anni Settanta, durante le ultime missioni Apollo. «Ero un ragazzino – ha raccontato l’astronauta italiano ieri in un affollato auditorio dell’Università della Svizzera italiana – e quando mi chiedevano “che cosa vuoi fare da grande?”, rispondevo: “Voglio andare sulla Luna, voglio fare le derapate con la jeep lunare!”». Ottenendo in risposta sguardi accondiscendenti perché «quali erano le possibilità per un ragazzino italiano di andare nello spazio? Zero, allora ci andavano solo qualche astronauta americano e qualche cosmonauta russo – e finita lì». Un sogno rimasto nel cassetto per alcuni anni finché, militare di carriera di 27 anni, Paolo Nespoli non decise di provare a tirarlo fuori, di diventare davvero un astronauta. Ma i dettagli di questa storia – in cui sono coinvolti due nomi quali Oriana Fallaci e Piero Angela – non sono stati ripercorsi, ieri: tante le cose da raccontare, e da chiedere, in un’ora e mezza, dall’addestramento per la Sojuz alla vita nella Stazione spaziale internazionale passando per gli extraterrestri – «purtroppo non li ho visti, e mi spiace perché volevo essere io il primo!» ha risposto a una domanda del pubblico – e come si mangia nello spazio.
Nello spazio, passando dall’Alaska
Come ci si prepara per stare diversi mesi nello spazio? Se i mesi di addestramento per il lancio e il rientro sulla navicella russa Sojuz non hanno sorpreso più di tanto – ma nel vedere quanto è piccolo l’abitacolo, in cui può capitare di stare anche 32 ore, tra il pubblico si sono sentiti diversi mormorii di stupore (e di claustrofobia) – e ci si potevano aspettare gli anni di formazione in giro per il mondo per familiarizzare con le varie parti della Stazione spaziale internazionale, diverso quando Nespoli ha mostrato l’immagine di un gruppo di intrepidi in kayak in Alaska.
Il fatto è che la Stazione è un posto «isolato, confinato, strano; ed è bene non litigare». Perché non puoi andartene sbattendo la porta a farti un giro – o meglio puoi, ma la cosiddetta “passeggiata spaziale” non è affatto una passeggiata, richiede una tuta che pesa 150 chili, costa 15 milioni di dollari e non è pensata per starsene un po’ per i fatti propri. Ecco quindi lo “Human behavior performance training”, «addestramenti speciali in cui ti mettono in situazioni strane: sei isolato, confinato, scombussolato e devi comunque fare un lavoro». Ecco l’Alaska, lasciati su un’isoletta con un “ci rivediamo tra dodici giorni 150 chilometri più in là”. «Qui cominciano subito a saltar fuori i problemi: di solito abbiamo due
comportamenti estremi, c’è quello, o quella, che diventa aggressivo, e quello che si mette in un angolino» ma non puoi permetterti nessuna delle due opzioni. Altre simulazioni sono state in una grotta in Sardegna – «dopo cinque ore di marcia dall’ingresso ci hanno detto: “Avete dieci giorni, esplorate la grotta e trovate l’uscita”» – e in un ambiente sottomarino in Florida, «tutti posti dove non puoi uscire se sei stufo». Situazioni in cui devi capire che «non è importante la forza del singolo, perché è tutto il team che deve muoversi e capisci, ad esempio, che il passo non lo deve fare la persona più forte, ma la persona più debole e il leader deve impostare una missione democratica».
Questione di gravità
La Stazione spaziale non è solo un luogo isolato: è innanzitutto un laboratorio e fare esperimenti è l’attività principale degli astronauti. «Facciamo esperimenti di tutti i tipi, per cui devi addestrarti a non fare lo scienziato: il nostro compito è fare il metalmeccanico spaziale, essere il braccio dello scienziato che vuole ottenere dei dati per un certo tipo di esperimento». Il braccio, ma anche la cavia, perché le condizioni uniche della Stazione spaziale internazionale riguardano anche il corpo umano, come reagisca all’assenza di gravità. O meglio alla condizione di microgravità perché la stazione è, di fatto, in condizione di caduta libera. «Presente la sensazione quando sulle scale non capisci che c’è un gradino e hai quel momento di scombussolamento? Ecco, è così, solo che dura sei mesi». In caduta libera non si percepiscono gli effetti della forza di gravità «e succedono delle cose incredibili» – il che è il motivo per cui andiamo nello spazio: sulla Terra non c’è nessun posto dove si possa non sentire la forza di gravità per periodi lunghi. Il fatto è che la gravità «è come un elefante che schiaccia tutto, ma se io tolgo l’elefante tutte le forze che non riescono ad esprimersi, improvvisamente si manifestano». E sulla Stazione spaziale c’è di tutto, persino una fornace per metalli. Ma, come detto, molti esperimenti riguardano gli astronauti stessi. Strane cose accadono quando non si avverte più la gravità. A iniziare dal viso: come si vede chiaramente in alcune delle immagini mostrate da Nespoli, il volto è rosso (e le gambe rinsecchite, quasi delle cosciette di pollo, e infatti in gergo si parla di ‘chicken leg’): il sistema circolatorio non deve più contrastare la forza di gravità e il sangue va letteralmente alla testa. E poi si distende la spina dorsale: «Io sono cresciuto di sette centimetri, e uno dice “che bello, vado anch’io!”, solo che ti si tirano tutti i muscoli, ad alcuni vengono dei mal di schiena terribili e comunque, quando torni sulla Terra, ti rischiacci tutto». A proposito di ossa: senza gravità le ossa perdono calcio dieci volte più velocemente di chi soffre di osteoporosi, e uno degli esperimenti cui Nespoli ha fatto da cavia era appunto vedere come la dieta influisca sulla perdita di calcio.
L’unico confine che conta
Finiti gli esperimenti, c’è la cupola. Un modulo della stazione progettato per permettere di manovrare un braccio robotico. Con l’effetto collaterale di dare una vista spettacolare sulla Terra. Perché, come detto, 400 chilometri sono forse pochi, ma sono abbastanza per una visione globale come Paolo Nespoli ha mostrato commentando un suggestivo video con alcune delle immagini riprese durante una sua missione. Concludendo con uno dei sedici tramonti che, ogni giorno, si vedono dalla stazione: «Il sole ci mette sette secondi a sparire completamente e per un attimo si vede l’atmosfera, l’unico confine che ha un qualche senso, tra la Terra e lo spazio».