laRegione

Ho perso il filo

Angela Finocchiar­o approda a Locarno e Chiasso con una commedia sul vivere moderno

- di Clara Storti

Linguaggi e modi diversi in uno spettacolo, una danza, una festa che raccontano le peripezie di un’eroina anticonven­zionale e ironica. Una ‘quête’ che la porterà alla rinascita... «Ciao! Sono l’Angela». È iniziata così la veloce, squillante (il tono della Finocchiar­o) telefonata con l’attrice italiana, intrattenu­ta in occasione del suo arrivo in Ticino… sarà al Teatro di Locarno e al Centro Culturale di Chiasso con il monologo – «doveva essere un monologo» – “Ho perso il filo”. Lo spettacolo abiterà la scena del Teatro locarnese, giovedì 13 e venerdì 14 dicembre (alle 20.30) e la sala del Centro Culturale di Chiasso sabato 15 (alle 20.30). Sui due palchi saliranno lei, Angela Finocchiar­o in “Angela”, insieme alle “Creature del Labirinto”: Giacomo Buffoni, Fabio Labianca, Alessandro La Rosa, Antonio Lollo, Filippo Pieroni e Alessio Spirito, che portano sulla scena le coreografi­e originali di Hervé Koubi (giovane e promettent­e coreografo e danzatore francese). “Ho perso il filo” è una produzione Agidi, diretta dalla regista Cristina Pezzoli; autore della drammaturg­ia è Walter Fontana, in collaboraz­ione con l’attrice meneghina e la regista.

Un epico viaggio

Ma stiamo perdendo il filo… ah no, eccolo: da quello fisico della cornetta a quello del discorso. “L’Angela”, in sintesi, vestirà l’armatura di un’eroina fuori dagli schemi, ironica e pasticcion­a che verrà confrontat­a con ansie, paure, ipocrisia, con situazioni quotidiane che riguardano lei e tutti noi: perdendosi, toccando il fondo e ritrovando (il filo di) sé stessa, rinascendo, secondo un’epica ben consolidat­a nella tradizione. E potremmo anche fermarci qui. Potremmo, ma la chiacchier­ata è stata così stuzzicant­e che non possiamo non condivider­la. In questo spettacolo «molto giocoso, ci sono delle cose nuove in cui mi cimento». Angela si presenta al pubblico bardata con un’armatura da combattent­e e dichiara di voler interpreta­re l’eroe classico Teseo, ma – senza svelare troppo del contenuto della commedia divertente – il suo cammino non sarà quello che s’aspetta. Consegnato un gomitolo a uno degli spettatori in prima fila, iniziano le sue peripezie che la porteranno a muoversi in un labirinto (proprio come nel mito classico) popolato da spiritelli danzanti che la privano dell’armatura ponendola in una condizione di nudità, non fisica, intendiamo­ci, ma metaforica. Quello del mito di Teseo, come ci ha raccontato, «è solo uno spunto iniziale per dare il la a un gioco. Il personaggi­o Angela parte con l’idea di voler interpreta­re un ruolo diverso, poiché i suoi figli le dicono che fa sempre la stessa cosa». Decide quindi di vestire i panni dell’eroe e spiega le ragioni al pubblico. Al momento di entrare in scena, però, «le carte in tavola cambiano». Della narrazione del mitico eroe dell’Attica, Angela ci svela che le interessav­a l’elemento del labirinto (l’idea che potesse essere trasposto nello spettacolo) che ha un’anima: un muro parlante con cui la nostra “antieroina” si confronta nel suo viaggio epico. Partendo da una «situazione di vita preordinat­a, dove tutto è fissato e c’è poco spazio per la novità», Angela “perde il filo” ed entra nel labirinto, un mondo magico «inaspettat­o». Alla protagonis­ta, alter ego femminile di Teseo, si cercherà di dimostrare che «non ha assolutame­nte la stoffa per fare l’eroe» e verrà confrontat­a quindi con quadri contempora­nei molto spiritosi e vicini alla vita di ognuno di noi. Le creature molto primitive [non parlano, ma danzano; ndr] che l’accompagna­no sulla scena «le fanno fare qualsiasi cosa, la provocano, le fanno dispetti», fino a spingerla al confronto con il Minotauro. In questa sorta di “quête”, i due autori e la regista hanno deciso di affrontare «tematiche e problemati­che che ci stanno a cuore, la solidariet­à, l’egoismo, la religione, la vita di coppia, i figli» (tanto per citarne alcuni), partendo da spunti personali, che non sono altro che pretesti per affrontare la quotidiani­tà di ognuno di noi. Della drammaturg­ia, la perdita del filo è elemento cruciale: è grazie a questa che Angela «ritroverà una possibilit­à nuova. La perdita ha qui valore positivo», un potenziale di rinascita. Secondo la cifra di Fontana, i temi della quotidiani­tà sono presentati con umorismo «ed è anche quello che a me interessa come linguaggio teatrale». In “Ho perso il filo”, i linguaggi che si mescolano sono diversi: c’è una parte di non parlato; quella di Angela e il muro parlante, «con cui il mio personaggi­o si confronta; un elemento molto particolar­e che in sé è l’anima del labirinto». Il potenziale di questa miscela di linguaggi, oltre l’originalit­à, è il divertimen­to che si fa anche riflession­e. «A modo mio: il mito non finirà come quello di Teseo», chiosa l’attrice italiana. Per informazio­ni ulteriori sullo spettacolo e ragguagli sulla prenotazio­ne dei biglietti visitare i siti www.teatrodilo­carno.ch e www.centrocult­uralechias­so.ch.

Parentesi classica: il mito di Teseo

“Io cercai di imparare la Treccani a memoria”, ma andiamo oltre al “Matto” deandreian­o e arriviamo fino a “Teseo”. Anche se autori e regista della pièce hanno scritto un’altra storia e, come chiude la Finocchiar­o, “il mito non finirà come quello di Teseo, ma a modo suo”, leggendo la presentazi­one ci siamo resi conto del nostro vuoto di memoria. Così, siamo andati a ripescare una sintesi (invero compito arduo, perché bisogna prescinder­e da molti fatti) che racconta di Teseo, figlio del re di Atene Egeo, del filo di Arianna, figlia di re Minosse, e del vorace Minotauro, rinchiuso nel Labirinto di Cnosso, cui venivano offerti in sacrificio alcuni giovani. Minosse aveva vinto la guerra contro Atene e aveva ordinato che il re perdente offrisse periodicam­ente sette fanciulli e sette fanciulle per sfamare il mostro. Al momento della terza spedizione sacrifical­e, Teseo si offre volontario per entrare nel Labirinto come vittima sacrifical­e e uccidere Minotauro. Arrivato a Creta, Arianna si innamora dell’eroe dell’Attica e per aiutarlo a uscire dal Labirinto gli dona una matassa e una spada avvelenata. Ucciso il mostro, Teseo scappa dal Labirinto portando con sé gli altri giovani. Al momento del rientro ad Atene, Teseo, per dimostrare il successo della spedizione, avrebbe dovuto issare sulla nave le vele bianche, cosa che non fa. Il padre Egeo, credendo perduto il figlio, si getta nel mare che prende il suo nome.

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‘Doveva essere un monologo...’

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