Corsi contro l’esclusione
Uno studio Decs/Supsi: la formazione continua negli adulti è fondamentale
L’obiettivo è motivare chi ha poche competenze professionali e linguistiche a migliorarle
Sono 800mila le persone, in tutta la Svizzera, che hanno difficoltà a comprendere frasi semplici pronunciate nella lingua locale. 400mila, invece, hanno un’evidente difficoltà quando confrontate con operazioni di matematica di base. Numeri alti che hanno portato, nel gennaio del 2017, all’entrata in vigore della Legge federale sulla formazione continua. Parallelamente all’iter legislativo di questo atto, in Ticino si è svolto uno studio, ‘Anch’io faccio parte di...’. curato da Pepita Vera Conforti (Divisione formazione professionale del Decs) e Angela Cattaneo (Supsi), che si è posto un obiettivo chiaro. Partendo dal fatto che “la maggioranza di queste persone è inserita nel mercato del lavoro e risulta essere a forte rischio di esclusione”, si nota che “le statistiche federali riportano come, di fatto, le persone che potrebbero fruire maggiormente delle offerte formative presenti nel territorio per colmare lacune nelle competenze o conoscenze di base sono altresì quelle che meno di tutti ne usufruiscono”. È così anche in Ticino? E cosa si può fare, a livello di formazione continua, per stimolare queste persone a “intraprendere delle formazioni nell’ottica di migliorare le proprie competenze” e quindi di sfuggire alle maglie, tristi e con conseguenze pericolose, dell’esclusione sociale e lavorativa? La ricerca di Conforti e Cattaneo, nella prima fase, ha individuato, “considerando unicamente le iniziative a beneficio di un sostegno pubblico”, 26 enti che in Ticino “promuovono dei corsi tendenti a sviluppare le competenze di base linguistiche e/o professionali”. A questi enti, in un secondo momento, sono stati chiesti gli obiettivi che si sono posti e il pubblico di riferimento, con particolare attenzione “alle informazioni sulla modalità di accesso al corso e sulla motivazione a seguirlo”. Ebbene, le analisi delle risposte mostrano come ci siano “tre gruppi ben distinti di corsisti: i giovani adulti che seguono un pretirocinio d’integrazione, gli adulti che seguono i corsi preparatori per l’ottenimento di un titolo di studio qualificato e gli adulti che seguono corsi base di italiano in quanto alloglotti o con deboli competenze”. Considerando le risposte a un questionario inoltrato ai corsisti, Conforti e Cattaneo nella loro ricerca forniscono dei ‘suggerimenti’ indirizzati agli operatori, a chi la formazione continua la organizza, insomma. Da noi interpellata, Pepita Vera Conforti rileva come uno dei più importanti sia quello di «spingere sulle motivazioni di chi si iscrive, lavorare perché queste persone scoprano il piacere di apprendere». Per migliorare la propria condizione e, con più competenze, la propria situazione lavorativa, «ma anche per renderli coscienti di star facendo qualcosa di utile per sé stessi». E si sa, lavorare su se stessi aiuta a sentirsi più inclusi, parte di una rete sociale. Rete che «però deve esserci anche tra gli enti formativi – aggiunge Conforti –. Perché chi frequenta questi corsi abbia una prospettiva, un fine». La lotta alla propria possibile esclusione, certo. Ma anche per un’inclusione migliore, «più concreta».