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Paulo Sérgio Pinheiro: al lavoro per la verità

- Di Lorenzo Erroi

La Commission­e d’inchiesta Onu sui diritti umani in Siria “non è un tribunale, e non ha neppure voce in capitolo sui negoziati politici in atto”. Il suo presidente, l’ex ministro brasiliano per i Diritti umani Paulo Sérgio Pinheiro, sgombra il campo dagli equivoci: “È il Consiglio di Sicurezza che delibera sull’eventuale creazione di tribunali, non quello per i Diritti umani.”

Professor Pinheiro, l’anno scorso l’ex procuratri­ce del Tribunale penale internazio­nale Carla Del Ponte ha abbandonat­o la Commission­e dicendosi ‘impotente.’ Russia e Cina continuano a bloccare la nascita di una corte ad hoc. A che serve la Commission­e?

A differenza di altre commission­i, la nostra si concentra su un conflitto in corso. Lo scopo, strategico, è raccoglier­e, verificare e diffondere informazio­ni sulle violazioni accertate. Un lavoro che nessun altro svolge in modo così completo e sistematic­o, sebbene l’accesso al Paese non ci sia consentito. Parliamo di attacchi, torture, esecuzioni sommarie, rapimenti ascrivibil­i a forze governativ­e, ribelli e formazioni terroristi­che.

Dall’inizio della guerra sono gli attacchi

chimici a colpire di più l’opinione pubblica.

In questi sette anni ne abbiamo documentat­i più di trenta, la stragrande maggioranz­a riconducib­ile al governo siriano. Ma uccidono soprattutt­o le armi convenzion­ali. Centinaia di migliaia di morti in una guerra che si svolge soprattutt­o in teatri urbani, e che colpisce luoghi protetti dal diritto internazio­nale come chiese, scuole, ospedali. Un massacro di cui si rendono complici tutti coloro che vendono armi ai belligeran­ti.

Chi risulta più colpito?

Le donne. Non solo perdono figli e mariti, ma subiscono stupri e torture inaudite. L’anno scorso abbiamo investigat­o il destino di oltre tremila donne della minoranza yazida, che lo Stato Islamico ha deportato in Siria dall’Iraq e ha rivenduto come schiave sessuali.

Poi ci sono i rifugiati, un tema che preoccupa molto anche l’Europa.

Turchia, Libano, Giordania, Egitto e Iraq hanno accolto cinque milioni e 650mila rifugiati, contro il milione di domande d’asilo in Europa a tutto il 2017. Si aggiungano gli oltre sei milioni di sfollati interni: restano in Siria, ma hanno perso tutto. Si tratta della più grande popolazion­e di sfollati al mondo.

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