Bce, anche con la fine del quantitative easing la guardia resta alta
Francoforte – Mario Draghi chiude l’era del quantitative easing, l’acquisto di 2’600 miliardi di euro di debito che ha tirato l’eurozona fuori dalle secche della deflazione e dato il contributo forse più decisivo alla ripresa dopo la grande crisi. Ma il ‘Qe’ rimane “nella cassetta degli attrezzi” della Bce – ha spiegato ieri il suo artefice – e l’Eurotower non tornerà più quella di prima, incapace di intervenire se non con le “armi” convenzionali. Specie dopo la sentenza favorevole della Corte di giustizia europea due giorni fa, la Bce è “come tutte le altre banche centrali dei maggiori Paesi”. L’espansione del bilancio della Bce a oltre il 40% del Pil dell’eurozona (per avere un confronto, la Fed è sotto il 20%), non si sgonfia improvvisamente. Draghi ha spiegato che, all’unanimità, il Consiglio direttivo ha deciso che, se da una parte gli acquisti “netti” di titoli terminano a dicembre, dall’altra la Bce manterrà il proprio portafoglio intatto. Lo farà reinvestendo il capitale dei bond che le verranno via via rimborsati “per un periodo prolungato dopo che avrà iniziato ad alzare i tassi d’interesse principali, e per tutto il periodo necessario”. Ci vorranno “almeno altri due anni” prima che la Bce cominci a ridurre il bilancio, secondo Marco Valli di Unicredit. Un’uscita il più soft possibile dal quantitative easing, per di più con l’unanimità dei membri del Consiglio che Draghi ha voluto sottolineare, dopo tanti bracci di ferro. Una Bce che resta pronta a intervenire se necessario di fronte a imprevisti, anche riaprendo il rubinetti degli acquisti netti di titoli. E che si accompagnerà a tassi fermi ai minimi record almeno fino al quarto trimestre 2019, come ha confermato Draghi. Sullo sfondo c’è una valutazione delle prospettive economiche non drammatica: la discesa del Pil (specie tedesca e italiana) del terzo trimestre è “temporanea” nelle valutazioni di Francoforte. Ma c’è anche una crescente cautela di fronte a spinte protezionistiche, fattori geopolitici, mercati emergenti e instabilità finanziaria che stanno facendo pendere verso il basso la valutazione tuttora bilanciata dei rischi di scenario economico.