Dall’Ue (sol)tanti sorrisi a May
Londra/Bruxelles – Non si terrà prima del 7 gennaio il voto ai Comuni per la ratifica dell’accordo di Uscita del Regno Unito dall’Unione europea. L’occasione delle festività di fine anno, dovrebbe servire a Theresa May per assicurarsi un qualche sostegno non solo verbale da parte dei 27 partner Ue, e per assicurarsi il sostegno del “suo” parlamento. Improbabili, peraltro, l’uno e l’altro. Dai capi di governo europei, che incontrerà nel vertice di chiusura di semestre di presidenza austriaca, May riceverà solidarietà e appoggio nella “ricerca di una soluzione”, espressione stereotipata e incomprensibile se non accompagnata dalla precisazione, ripetuta ancora ieri che “l’intesa non si tocca”. Bell’aiuto per una politica che deve assolutamente esibire ai Comuni una qualche concessione per sperare di evitare una clamorosa sconfessione. Anche per questo May vuole rimandare il più possibile la data del voto, spingerla verso il 21 gennaio, data oltre la quale, in mancanza di un verdetto – in base a una clausola britannica – scatterà automaticamente la hard Brexit. In prossimità della scadenza, la scelta si ridurrà a un aut-aut tra la Brexit negoziata e quella ‘no deal’. “Non mi aspetto una svolta immediata, ma l’avvio di un percorso”, ha detto ieri la primo ministro, ma non si capisce bene su che base. Il premier irlandese Leo Varadkar è il più preoccupato: oltre a temere che la solidarietà dei partner possa cessare, ritiene che le richieste dell’inquilina di Downing Street siano “difficili”. L’ostacolo resta il cosiddetto ’backstop’, il meccanismo di garanzia per frontiere aperte sull’isola d’Irlanda, in cui Londra teme di restare intrappolata, e per il quale Westminster pretende rassicurazioni. Dovrebbe forse pretenderle sugli scenari facilmente immaginabili sul ritorno di un confine “fisico” tra le “due” Irlande...