laRegione

La libertà radicale

A Elisa Valero il Premio Svizzero dell’Architettu­ra 2018 giunto alla sesta edizione

- di Vito Calabretta

‘Un edificio dovrebbe stare nell’ambiente come un sasso grigio in un prato verde’. Proponiamo una riflession­e dopo la cerimonia di Mendrisio.

Ho nel mio ricordo l’incerta traccia di un monito rivolto da Iosif Brodskij a un gruppo di allievi con i quali egli esercitava il proprio magistero nella qualità di Poeta Laureato Americano: vestitevi di grigio. Non ho mai tollerato quel monito, pur condividen­done alcune ragioni, in parte coincident­i con i motivi che indussero gli architetti di alcuni monumenti religiosi a concepire un forte contrasto tra la configuraz­ione esterna dell’edificio e il florilegio vitale interno; penso per esempio al Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. La mia intolleran­za è dettata dalla sensazione del rischio opposto, cioè di contrappor­re alla superficia­le esuberanza dell’indumento la divisa clericale intenta a impossessa­rsi dei gruppi che prediligon­o chiudersi, come casta o protocasta; andiamo a un concerto e li vediamo tutti vestiti di grigionero, nella mondanità artistica idem; così per la divisa della società degli affari: “da pinguino” mi dicevano di vestirmi prima degli incontri profession­ali con gli addetti marketing o contabili.

Un lavoro in cui si coglie la sensazione di un radicalism­o analitico in contraddiz­ione con ciò che ci aspettiamo

Così, mi ha colpito secco sentire Elisa Valero, nel ringraziar­e per il conferimen­to del Premio svizzero dell’Architettu­ra, dire che lei predilige l’uso del grigio del cemento armato perché ritiene di poter contribuir­e meglio alla salvaguard­ia del verde naturale del nostro pianeta. Ascoltando il preciso e sorridente eloquio della architetta attualment­e attiva a Granada, in Spagna, comprendo che, sottolinea­ndo l’impatto grigio dell’edificio nell’ambiente, il progettist­a e il costruttor­e saranno spinti a ridurlo al minimo e a immedesima­rlo al massimo nel contesto spaziale. Quando poi Elisa Valero afferma che lo spazio architetto­nico e quello abitativo devono essere dettati dalla luce mi sembra asserire qualcosa di parentale al punto precedente. A corol- lario di tali affermazio­ni abbiamo quella secondo la quale un edificio dovrebbe stare nell’ambiente come un sasso grigio in un prato verde. Queste parole introdutti­ve vogliono condurci all’interesse del Premio assegnato a Mendrisio, dove possiamo accedere, nei locali del Teatro dell’Architettu­ra, a una mostra che documenta il lavoro delle personalit­à coinvolte nell’iniziativa e, certo, della vincitrice. Si tratta di un materiale utile perché offre termini di paragone con i quali leggere ciò che costruiamo e che ci circonda. Lo fa seguendo un processo di scarto perché ci propone progetti ambientati in contesti completame­nti diversi (con le eccezioni di quelli ambientati in territorio insubrico) e pertanto ci offre un distacco foriero di potenziali­tà. Penso al progetto di scuola elementare Xiaoquan di Hua Li, al messicano Void Temple di Rosana Montiel, alla keniana Casa dei Bambini dello Orkidstudi­o Architects, per fare pochi esempi. All’interno di tale situazione possiamo cogliere le peculiarit­à del contributo di Elisa Valero. Come primo stimolo raccolgo la sensazione di un radicalism­o analitico che sembra contraddir­e ciò che ci aspettiamo dal lavoro nell’architettu­ra e che proprio perciò è fecondo. Invece di perseguire la sintesi a oltranza, Elisa Valero sembra cercare l’equilibrio architetto­nico attraverso scelte poetiche fondate su alcuni principi che lei stessa enuncia, sempre senza rinunciare alle contraddiz­ioni ineludibil­i, anzi coltivando­le e cercando le soluzioni possibili anche al loro interno. Dice, per esempio, che l’architettu­ra è uno strumento per risolvere i problemi umani e asserisce di non sentirsi affatto un’artista ma quando afferma che «tutto il tempo è tempo libero», che dobbiamo cogliere la ricchezza del rischioso ozio, oppure che occorre «dare luogo allo spazio e lasciare che sia la luce a definirlo», vediamo come la profession­ista assuma la procedura artistica per impostare il proprio lavoro. Una conferma ci viene dal concetto utilizzato per indicarci come definire il momento in cui il progettist­a può assumere di avere individuat­o una soluzione: quando la configuraz­ione degli spazi risponde alla «idea de justeza». Non si vuole qui dire che l’architetto è un artista ma che nel discorso di Elisa Valero possiamo individuar­e alcuni elementi della procedura artistica: governare la sporcizia, assumere cioè la consapevol­ezza che agiamo in condizioni non pure e ci impegniamo a tradurre la nostra responsabi­lità ambientale in soluzioni concrete che devono «far danzare in catena il lieve e il greve».

Mettere in atto un approccio

non convenzion­ale

La libertà radicale con la quale Elisa Valero afferma di procedere si esprime attraverso una pratica che vuole coniugare la concretezz­a (ci parla di «approccio concretame­nte realistico» e di «impegno nell’ambiente») con la sperimenta­zione. Ciò significa mettere in atto, consapevol­i di rischiare, un approccio non convenzion­ale: ne vediamo un esempio significat­ivo, addirittur­a simbolico, nel punto di affaccio della sua propria casa sulla luce esterna, al quale accede attraverso una scala da imbianchin­o. Significa affrontare e anche generare nuove situazioni e problemi, riducendo al minimo le ipotesi predefinit­e, dedicandos­i all’ascolto e cercando di reagire di volta in volta alla situazione, seguendo una pratica di «desnudez» che si esprime in termini concettual­i tanto quanto nelle scelte architetto­niche. Significa altresì perseguire la libertà intellettu­ale sia nella pratica del gioco di squadra e nella costruzion­e di un approccio ludico alla pratica profession­ale, sia nella valutazion­e e sperimenta­zione tecnica, tecnologic­a e nella scelta dei materiali, area nella quale il lavoro viene condiviso con esperienze profession­ali diverse. In somma di tutto ciò sia la testimonia­nza di Elisa Valero, sia la proposta generale del Premio, che dall’anno prossimo dovrebbe vedere coinvolte a pari titolo le scuole di architettu­ra di Losanna, Mendrisio e Zurigo, ci mostrano come sia possibile, ogni volta che si interviene nello spazio, cercare di rispondere alle esigenze, più che imporre una cifra riconoscib­ile e riconducib­ile al cosiddetto autore. Anche per questo motivo la analiticit­à di Elisa Valero e il suo tentativo di individuar­e soluzioni attraverso scelte di equilibrio piuttosto che attraverso scelte di sintesi sono preziose.

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FERNANDO ALDA ‘Dare luogo allo spazio e lasciare che sia la luce a definirlo’ Elisa Valero

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