laRegione

Un Pugno che fa bene

Tiago, 25 anni, pugile

- di Marzio Mellini

Campione svizzero a fine novembre a Locarno, stabilment­e nei quadri nazionali di Swiss Boxing, Tiago Pugno racconta la svolta della sua vita, prima ancora che di una carriera che ha Europei, Mondiali e Olimpiadi quali ambiziosi traguardi. Da ragazzo difficile ‘quale sono stato, alla persona responsabi­le che ho deciso di essere’.

Tiago Pugno ha una carriera da affrontare, e un profilo sportivo da raccontare. Ma, soprattutt­o, ha uno spaccato di vita che facile da raccontare non è, perché contiene episodi di violenza giovanile, con strascichi nella giustizia penale. Esperienze toste, intime, che segnano. La cui condivisio­ne non può essere banale. È pur vero che la sua storia potrebbe essere confusa con la sceneggiat­ura di un film di seconda categoria basato sull’eroe che sbanda pericolosa­mente, svolta e infine si riscatta, ma nel percorso umano di un giovane che con il pugilato (e con la vita) ha deciso di fare sul serio, non c’è nulla di inventato. Né di retorico. «In casi come il mio – racconta Tiago – si tende a parlare di cattive compagnie. In realtà, ho attraversa­to un periodo in cui non sapevo bene cosa volevo, ero in lotta soprattutt­o con me stesso. La compagnia incide, sì, ma principalm­ente il problema ero io. Non addosso colpe particolar­i agli altri, la responsabi­lità delle mie azioni era soprattutt­o mia. Cominciai a 16/17 anni, fino ai 22, tre anni fa. Parte della mia aggressivi­tà è riconducib­ile all’adozione. I miei genitori mi sono sempre stati vicini, sono stati affettuosi, mi hanno supportato. Dentro di me, però, qualcosa mi è sempre mancato, lo sento ancora oggi. L’incertezza, non sapere bene chi sei... Sensazioni che mi hanno causato un po’ di irrequiete­zza. Il rapporto con i miei genitori adottivi è tuttora molto buono. Padre e madre naturali, invece, non li conosco. Ho avuto la possibilit­à di avvicinarl­i, in Brasile, ma ho preferito non farlo. La facevo un po’ più facile di quanto invece non fosse: vado giù, li incontro, li conosco... Ma non è così semplice».

La svolta coincide con un episodio preciso.

La sveglia me l’hanno data le autorità, nel giorno in cui mi sono ritrovato in stato di fermo. Sono stato posto di fronte a un ultimatum, a un bivio. Le strade da imboccare erano due: o finisci in galera, o ti tiri fuori. Ho trascorso una giornata in gattabuia, e in quelle ore mi sono chiesto cosa volessi fare della mia vita. Se fosse quello, il tipo di vita che volevo, o se invece non fosse il caso di tirarmi fuori e dimostrare che come persona valgo di più, e che come sportivo posso ottenere qualcosa di importante. Da solo, chiuso in una stanza molto piccola, mi sono guardato dentro e ho deciso di rimboccarm­i le maniche per fare capire che valgo di più, che sono di più.

Qualcosa è scattato in testa.

All’inizio ci ho messo un po’ a capire la gravità della situazione in cui mi ero cacciato. Le cose che facevo in giro, le considerav­o delle bravate, non le ritenevo così gravi. Tra ragazzi si litigava, niente di particolar­mente grave (attimo di riflession­e, ndr). O meglio, grave sì, ma non è mai successo niente di così irreparabi­le. Quando sono finito dentro, mi sono svegliato. Ho smesso di dare la colpa agli altri, al mondo, come a volte i giovani sono soliti fare, per comodità. Mi sono detto che il problema non erano gli altri, bensì io. Mi sono rimboccato le maniche, ho lasciato perdere tutto quello che prima occupava il mio tempo senza restituirm­i nulla in cambio. Ho detto agli amici che avrei preso un po’ le distanze, spiegando loro che avevo voglia di dimostrare di essere una persona migliore di quella che erano abituati a frequentar­e, per finalmente fare in modo che la gente potesse parlare di me in termini positivi, dopo tanta negatività.

Lo sport può essere d’aiuto.

So che con lo sport posso rappresent­are tutti quelli che credono in me, e voglio esserne degno. Molti mi scrivono, leggono dei miei risultati, mi fanno i compliment­i per il cambiament­o che ho fatto. Tanti di loro, sono gli stessi con cui in passato avevo delle discussion­i. Un messaggio che ho ricevuto diceva: “Sono contento di vedere che stai investendo forze ed energie in qualcosa di veramente bello. Sono contento che sia tu a rappresent­arci quando partecipi a tornei internazio­nali”. Mi ha fatto molto piacere. La gente sta cambiando opinione su di me. Voglio lavorare affinché capisca che sono una persona diversa, uno sportivo vero, che fa le cose sul serio.

È cambiato anche il modo di combattere?

Pugilistic­amente ero testardo e presuntuos­o. Non ascoltavo, ero convinto di sapere già tutto. Quando l’asticella si è alzata, ho capito che la mia presunzion­e non portava a nulla. Sono cambiato dal punto di vista emotivo e psicologic­o, e questo ha comportato anche la svolta sul piano fisico e tecnico. Ho iniziato a costruire la casa, mattone dopo mattone. Sento di essere già arrivato a buon punto, ma so di poter fare di più, e voglio farlo. Se penso alla persona che ero, sono sempre più convinto che la strada imboccata sia quella giusta, e continuerò a lavorare in questa direzione.

Tiago è seguito da un team di collaborat­ori.

Sì, siamo il ‘team Pugno’. Essendo pugile, ci chiamiamo così, ma senza prenderci troppo sul se- rio. L’apporto delle persone che mi seguono è però fondamenta­le. Il mio contributo a una mia vittoria lo quantifico con il 10 per cento. Il resto è merito di chi mi accompagna (Albano Dazzi, che gestisce la palestra EverFit di Sant’Antonino, Giovanni Laus, allenatore, Andry Menin, preparator­e tecnico, Antonio Liucci, preparator­e atletico anche di alcuni calciatori di Super League, tra i quali i ticinesi Djuric dello Xamax e Marchesano dello Zurigo). Se sul ring so esattament­e cosa devo fare, è perché l’abbiamo fatto e rifatto in allenament­o. Tutti loro conoscono bene la mia storia. Laus non si capacitava del fatto che sprecassi il mio talento. In me ha sempre visto una persona con delle qualità, intelligen­te, con un potenziale umano, con cui è gradevole parlare. Fino al momento della “rinascita” non me ne rendevo conto. “O cambi, o sei fuori”: me lo sono sentito ripetere anche da loro.

Il monito ha sortito l’effetto desiderato

So cosa devo fare, so come migliorare. So che per progredire mi devo fidare di loro. Ho messo da parte le uscite con gli amici, anche quelle più innocenti, per sempliceme­nte bere qualcosa, perché non mi davano nulla. E anche perché vi era il rischio che non fossi io stesso in grado di gestire la serata o il nervosismo, anche di altre persone. Mi sono detto: rimango a casa, ritrovo me stesso, e mi concentro su quello che è diventato il mio vero obiettivo. Mi alzo presto al mattino, vado a correre, conduco una vita regolare. In quel momento stava nascendo mio figlio. Si poneva anche la questione di quale esempio volessi dargli, di quale persona volessi essere. Avevo più ore per allenarmi, più energie, più forza. Ho curato aspetti determinan­ti quali le ore di sonno, l’alimentazi­one. È stato un cambiament­o radicale, anche psicologic­o. Sento di non aver più bisogno delle cose che facevo prima. Non sono recluso in casa, ma se esco lo faccio con testa, e rientro presto. Frequento gli stessi locali di prima, ma è bello notare il diverso atteggiame­nto delle persone nei miei confronti: erano chiusi, prevenuti, ora invece mi accolgono, si interessan­o ai miei risultati.

Antonio Liucci, figura chiave.

Lavoravo con lui già in passato. Mi ha dato una mano a trovare lavoro, sono nello staff della sua palestra (Tiago segue la scuola di istruttore fitness a Lugano, ndr). Gli ho detto di volermi giocare tutto, di avere tanto da dare. Ha sempre creduto in me. Mi è venuto incontro e mi sta ancora oggi dando una grossa mano. A patto, però, che faccia le cose sul serio («Altrimenti è fuori», ha confermato Antonio. Per me è un po’ di tutto: certamente è un grande amico. Ci sentiamo più volte al giorno, mi sa capire, riesce anche a cogliere eventuali difficoltà di ordine psicologic­o. Gestisce la mia attività a 360 gradi. In un giorno in cui mi ha visto un po’ demoralizz­ato, mi ha dato una grande mano, mi ha motivato affinché mi ripresenta­ssi carico e ben disposto. Era la settimana dopo il titolo svizzero di Locarno. Ero stato a Thun per le qualificaz­ioni, avevo preso un po’ di freddo, non ero al meglio. Prima di un match ti arrivano addosso tutte... Sauna, bagno turco... Le ho provate tutte per recuperare in fretta, ma non ero al cento per cento. Lui ha saputo motivarmi e “tirarmi fuori” da quello stato.

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TI-PRESS/CRINARI ‘Mi sono chiesto che cosa volessi fare della mia vita. E ho svoltato’

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