I curdi passano con Assad
Le milizie dell’Ypg che controllano il nord-est del Paese hanno chiesto sostegno ai governativi L’annuncio del ritiro statunitense muta scenari e alleanze in Siria. La Turchia non gradisce, Damasco apprezza.
Damasco/Istanbul – Ora i curdi siriani si rivolgono a Bashar al Assad. Come dire: gli yankee se ne vanno, e il nemico del mio nemico può tornare utile. Prima tangibile conseguenza del rivolgimento strategico generato dalla decisione di Donald Trump; e ulteriore conferma che a uscirne (quasi) vincitore è Assad. Su esplicito invito delle milizie dell’Ypg, che controllano il nord-est del Paese, alcune unità dell’esercito siriano sono giunte ieri alle porte di Manbij, località strategica a ovest del fiume Eufrate, che la Turchia ha ripetutamente minacciato di invadere. Una mossa che in prospettiva potrebbe ridisegnare gli equilibri dopo quasi otto anni di guerra, restituendo di fatto al regime la più grande area ancora fuori dal suo controllo: sotto l’amministrazione curda c’è oggi quasi un terzo dell’intero territorio siriano. In cambio, con il beneplacito di Mosca, i curdi otterrebbero protezione da un’eventuale offensiva di Ankara, aprendo al contempo il dialogo sul loro status nella Siria che verrà. Sempre che non valga l’antica regola locale secondo cui la parola data vale finché non se la prende il vento; e le alleanze si fanno e si disfano a seconda delle convenienze. Da ieri mattina, ha annunciato l’esercito lealista, la bandiera di Damasco è tornata a sventolare a Manbij. Secondo l’Ypg e l’Osservatorio siriano per i diritti umani (basato a Londra), i governativi non sono però entrati nella città, ancora pattugliata dagli americani, ma l’avrebbero circondata sulla linea del fronte, a nord e sud-ovest, per fare da scudo all’offensiva che la Turchia prepara da giorni, ammassando truppe e blindati al confine e spingendo all’avanzata le milizie locali dell’Esercito siriano libero. La Coalizione anti-Isis guidata da Washington ha precisato che i militari siriani non sono entrati nell’area sotto il loro controllo e ha invitato “tutti a rispettare l’integrità di Manbij e la sicurezza dei suoi cittadini”. Prima del disimpegno americano, l’area è stata a lungo oggetto di un’intesa mai pienamente realizzata tra Ankara e Washington per il ritiro dei curdi a est dell’Eufrate. Russia e Iran, grandi sponsor di Assad, non possono che ritenersi soddisfatti. Per il Cremlino, è un “passo positivo” che “contribuisce a stabilizzare la situazione”. Non esattamente accordata la reazione di Recep Tayyip Erdogan, che ha parlato di una “operazione psicologica” del regime, sostenendo che sul terreno non c’è ancora “nulla di certo”. Ma delle due l’una: o Erdogan se la fa andare bene, o si troverà isolato.