laRegione

Twitta et impera

Anche un innocuo arancino di riso, nelle mani di Salvini, può dividere la società

- di Ivo Silvestro

Perché il cazzeggio online del ministro dell’Interno italiano è questione di dibattito pubblico. E perché non dovrebbe esserlo.

Non sono un seguace di Matteo Salvini. Sia politicame­nte – ma la cosa, qui, è ininfluent­e – sia socialmedi­aticamente. Insomma, non seguo su Twitter l’attuale ministro dell’Interno italiano e leader della Lega Nord. Il che significa che i suoi tweet, di per sé, non compaiono quando il mio dito tocca l’iconcina azzurroala­ta sullo smartphone. Eppure so che l’altro giorno si è mangiato pane e Nutella e, il giorno dopo, un arancino di riso. Informazio­ni la cui rilevanza politica e sociale dovrebbe essere nulla: semplice chiacchier­iccio che – sia chiaro – ha la sua ragion d’essere. Anche per il vicepresid­ente del Consiglio dei ministri che certo è persona di Stato, ma è anche una persona e come tale ha diritto a un po’ di sano cazzeggio, cosa che, di per sé, non inficia la dignità della carica che ricopre – almeno, non più delle sue idee politiche. Ma torniamo alle scelte alimentari di Salvini: pur non essendo seguace e pur essendo informazio­ni a dir poco marginali, ne sono venuto a conoscenza. Perché? Non solo perché molti hanno condiviso, indignati, quegli (esteticame­nte) orribili selfie, ma anche perché la notizia – anzi, la “notizia”, tra virgolette – è stata ripresa dalle principali testate giornalist­iche. C’è persino chi ha proposto campagne di boicottagg­io dei prodotti consumati da Salvini.

Il controllo delle notizie

Ora, se la conseguenz­a fosse solo l’aver inflitto a me e agli altri non seguaci di Salvini il suo faccione sorridente mentre addenta prodotti alimentari più o meno raffinati, poco male. Il fatto è che così facendo si è impostato il dibattito non intorno ai pericoli dell’attività vulcanica in Sicilia o al pentito ucciso a Pesaro nonostante fosse sotto protezione, ma intorno al tempo libero di Matteo Salvini – che è un ministro: ha la responsabi­lità politica di quel che viene e non viene fatto, ma certo non è suo compito indagare sugli omicidi o evacuare le case danneggiat­e. Se Salvini è al centro del discorso politico e sociale non lo si deve solo a chi con- divide le sue idee e le sue scelte, ma anche a chi ne condivide i post – per criticarli, per insultarlo, per prenderlo in giro, per indignarsi. E, peggio ancora, ai mass media che inseguendo le fette di pane e gli arancini di Salvini cedono al leader della Lega Nord il controllo delle notizie. Il linguista statuniten­se George Lakoff – riferendos­i evidenteme­nte a Donald Trump, non a Salvini, ma la sostanza non cambia – ha identifica­to quattro tipi di tweet, quattro modalità di controllar­e il dibattito che è bene conoscere in un momento dove, grazie ai social media, il dibattito pubblico è davvero nelle mani di tutti. Al primo posto abbiamo, ovviamente, la distrazion­e: se c’è qualche tema spinoso all’orizzonte, una bella polemica pretestuos­a e quel tema passa in secondo piano. Se poi quel tema spinoso passa lo stesso, abbiamo il diversivo: è un attacco, una macchinazi­one, una fake news inventata da invidiosi e avversari politici; concentrat­evi su di loro, non su quel che dicono. C’è poi il test: la si spara grossa per vedere come reagisce l’opinione pubblica, quanto si è assuefatta a idee un tempo aberranti tipo lasciar annegare delle persone in mezzo al mare. Ma il più insidioso è il “preemptive framing”, perché – è uno dei cavalli di battaglia della linguistic­a cognitiva di Lakoff – i fatti non valgono nulla senza una cornice concettual­e che dà loro un senso. E controllar­e quella cornice vuol dire controllar­e i fatti: vedi le migrazioni concepite come invasioni, la chiusura dei porti come misura di sicurezza nazionale eccetera. “Ma non si può ignorare Salvini: è un ministro!” ribattono alcuni. Vero, per quanto i suoi tweet alimentari, in realtà, li potremmo tranquilla­mente ignorare; quanto agli altri, c’è modo e modo di riprenderl­i. Sempre Lakoff ha più volte messo in guardia i media dal riprendere le bugie dei politici nella convinzion­e che le persone le riconoscan­o come tali: funziona solo con quelli che già sanno che quella è una bugia, non con gli altri. Se proprio la dichiarazi­one non la si può ignorare, non va sempliceme­nte ripresa ma inserita in quello che Lakoff chiama “truth sandwiche”, il panino della verità. Perché la prima cosa che si legge è quella che rimane in mente, per cui occorre sempre partire dalla verità, poi raccontare la bugia per concludere, di nuovo, con la verità.

Tutti per uno, tutti contro tutti

Fin qui, tecniche classiche, meccanismi della comunicazi­one – o retorica, come la si chiamava un tempo – che certo non sono nati con i social media. Quella che forse è cambiata è la modalità di comunicazi­one, perché sui social media non c’è controllo sul pubblico: un politico che tiene un discorso pubblico sa con chi sta parlando e nella grande metropoli non dirà le stesse cose che direbbe in una cittadina di provincia (o a un incontro con gli industrial­i), e anche le trasmissio­ni radio e tv hanno un determinat­o pubblico, sui social media si parla al mondo. Il fenomeno, sia chiaro, riguarda tutti noi che infliggiam­o ai colleghi le nostre foto di famiglia e ai parenti notizie di attualità, cosa che mai faremmo di persona perché, di persona, ci renderemmo subito conto che non interessan­o per niente. Se per i rapporti sociali ciò è una rottura di scatole, per la comunicazi­one politica potrebbe essere un disastro, perché un messaggio politico che vada bene a tutti – a tutte le classi sociali ed economiche, a simpatizza­nti, critici e indifferen­ti – è praticamen­te impossibil­e. E qui sta la bravura di Salvini, Trump e di altri comunicato­ri dell’agorà virtuale: non cercare l’impossibil­e consenso ma al contrario coltivare il dissenso. Insultando e ridicolizz­ando chi non la pensa come te o ha sempliceme­nte dei dubbi – tattica usata, con successo, da alcuni giornalist­i e divulgator­i – oppure con messaggi studiati per compiacere i fan e indignare tutti gli altri (vedi il pane e Nutella di Salvini). Tecnica indubbiame­nte efficace: sfruttando­la con abilità, si riesce a monopolizz­are il dibattito pubblico. Con un piccolo effetto collateral­e: polarizzar­e il pubblico, estremizza­re le discussion­i trasforman­do ognuna in uno scontro tra due fazioni che niente hanno in comune. Insomma, il venire meno di un vero dibattito pubblico. Per questo è importante maneggiare con cautela i tweet di Donald Trump, Matteo Salvini e dei tanti epigoni anche nostrani e, se il caso, ignorarli.

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