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La pace di Amos Oz

Lo scrittore israeliano è morto ieri all’età di 79 anni

- di Mauretta Capuano/Ansa

Fino alla fine Oz ha pensato ci fossero due tipi di pace, ‘quella che si raggiunge quando si muore, e la pace pragmatica, quella che mi auguro ci possa essere tra Israele e la Palestina’

Appassiona­to gigante della letteratur­a, Amoz Oz considerav­a “un imperativo morale cercare di mettersi nei panni dell’altro”. La spinta al dialogo e alla tolleranza, ma anche ad arrabbiars­i quando è necessario, ha attraversa­to tutta la vita e le opere dello scrittore israeliano, morto ieri a 79 anni di cancro. Sulla scrivania, come aveva raccontato nella sua ultima visita in Italia, lo scorso giugno al Taobuk Festival di Taormina, teneva sempre due penne: quella politica che adoperava quando si “arrabbiava, ma tanto e davvero” e quella del narratore che ha usato fino all’ultimo per scrivere il nuovo, atteso romanzo a cui stava lavorando e che potrebbe uscire postumo per Feltrinell­i. Più volte candidato al Nobel per la Letteratur­a, Amos Oz, nome d’arte di Amos Klausner, era nato da genitori immigrati dall’Europa Orientale il 4 maggio 1939 a Gerusalemm­e, dove è ambientata la maggior parte delle sue opere. La famiglia paterna era di destra, sosteneva il Partito revisionis­ta sionista e l’adolescenz­a dello scrittore è stata segnata dalla morte della madre, Fania, che si suicidò quando lui aveva 12 anni per una forte depression­e. A 15 anni Amos è andato a vivere nel kibbutz di Hulda dove ha cambiato il suo cognome in Oz che in ebraico significa forza e ha aderito al Partito laburista israeliano. Tutti elementi che in modo più o meno esplicito si ritrovano nel suo memoir ‘Una storia d’amore e di tenebra’ in cui racconta la sua infanzia e adolescenz­a negli anni travagliat­i che videro la nascita di Israele. La forma narrativa breve era molto affine allo scrittore, giornalist­a e saggista che esordì nel 1965 con i primi racconti di ‘Terre dello sciacallo’ cui seguì il romanzo ‘Michael mio’ che ebbe subito un grande successo. E sono due racconti del primo Amos Oz quelli raccolti nell’ultimo libro dello scrittore, pubblicato lo scorso ottobre in italiano, ‘Finché morte non sopraggiun­ga’ (Feltrinell­i). In queste due storie Oz ci porta in una Tel Aviv e in un Israele che non esistono più, ma dove si ritrovano la stessa malinconia e disperata ricerca di un senso per sé stessi e per il mondo. “Quali distanze, quali abissi bui di distanza, galassie intere di distanze separano gli individui. E mi prende una paura terribile” scrive Oz nel racconto ‘Amore tardivo’.

Cari fanatici

Oz temeva il fanatismo, vero nemico del presente, a cui aveva dedicato ‘Cari fanatici’, uscito in italiano nel 2017 per Feltrinell­i, nella traduzione di Elena Loewenthal, che raccoglie tre interventi in cui lo scrittore torna anche sulla situazione del Medio Oriente e del conflitto israelo-palestines­e. Con il suo sguardo lucido, profondo, unito alla capacità di vedere nell’umorismo e relativism­o una forma di speranza, Oz ci ha messo di fronte alle tragedie del nostro tempo. Come la maggior parte degli israeliani, aveva prestato servizio nelle Forze di difesa israeliane, durante la Guerra dei sei giorni nel 1967 era in una unità corazzata nel Sinai e in quella del Kippur del 1973 ha combattuto sulle alture del Golan. Autore, oltre che di romanzi e saggi tra cui ‘Conoscere una donna’, ‘Lo stesso mare’, ‘Giuda’, anche di libri per bambini, Oz, che è tradotto in 41 lingue, ha anche scritto un libro con la figlia Fania, ‘Gli ebrei e le parole’, uscito nel 2013. Vincitore di numerosi premi, tra cui il Premio Israele per la letteratur­a nel 1998, il Primo Levi e l’Heinrich Heine nel 2008 e il Salone Internazio­nale del Libro nel 2010, Oz aveva due occhi vispi azzurri che dicevano tutto del suo sguardo sul mondo. Era capace di scrivere opere dalla fantasia sfrenata come ‘D’un tratto nel folto bosco’ che parte come una fiaba e di intervenir­e con lucidità sul conflitto israelo-palestines­e. Come più volte aveva detto, si sforzava di lavorare come “un medico di famiglia o un piccolo medico di campagna” e come rimedi lo scrittore, che viveva ad Arad e insegnava letteratur­a all’Università Ben Gurion del Negev, proponeva “l’autocritic­a e il pragmatism­o”. Fino alla fine Oz ha pensato ci fossero due tipi di pace: “Quella che si raggiunge quando si muore, e la pace pragmatica, quella che mi auguro ci possa essere tra Israele e la Palestina”.

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KEYSTONE Lo scrittore nella sua casa di Tel Aviv nel 2015

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