laRegione

Una tragedia che attende Cechov

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Shakespear­e o Checov: in fondo, la questione del conflitto tra Israele e Palestina è tutta lì. Perché «le tragedie del primo finiscono con il trionfo della giustizia in un mare di sangue; alla fine delle commedie checoviane, tutti sono scontenti e disillusi, ma vivi», come Amos Oz aveva spiegato quando era stato a Lugano nel 2000, epoca in cui un’intesa sembrava a portata di mano. Da sempre sostenitor­e della Soluzione dei 2 Stati, Oz è stato la (non sempre ascoltata) coscienza di Israele. «Io sono più vecchio del mio Paese: lui ha cinquantad­ue anni; io ne ho sessanta. Così io sono come un americano di 364 anni: e dunque posso dire di aver conosciuto i George Washington e gli Abraham Lincoln di Israele» aveva risposto, intervista­to da ‘laRegione’, nel 2000. Ma, pensando alla fondazione di Israele in una terra dove già viveva un popolo con pari diritti, Oz trovava difficile pensare a un peccato originale dello Stato ebraico. «Piuttosto, una innocenza originale: intendo l’incapacità di comprender­e che quella terra non era vuota. Ma se anche l’avessero compreso, sono certo, gli ebrei vi sarebbero arrivati lo stesso, perché non avevano un altro posto dove andare. Non c’era un luogo disposto ad accoglierl­i, non una nazione che avrebbe fatto loro posto».

Pacifista pronto a combattere

«Io sono un pacifista – aveva affermato Oz –, ma se gli arabi dovessero tentare di nuovo di gettare gli ebrei a mare, li combatterò di nuovo come il diavolo, perché non sono disposto a lasciarmi uccidere o a lasciare uccidere i miei figli in nome della pace. Certo, mi rifiuterò di combattere in nome di qualche “interesse nazionale”, o per i “luoghi sacri”, o per le risorse, o per una guerra di conquista. Ma se si tratterà di combattere per la vita o per la libertà, mi batterò con ogni energia. E, mi rendo conto, questa è una posizione molto difficile da spiegare, ad esempio, ai pacifisti europei: per loro la guerra è qualcosa accaduto in Vietnam e contro la quale bisognava battersi. Ma sicuro, se si fosse trattato del Vietnam avrei rifiutato di combattere. Se però si trattasse di mia moglie e dei miei figli lo farei, senza dubbio. Questo è essenziale».

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