L’ispirazione da Ginevra
Obbligo formativo a 18 anni, ieri giornata di studio con esperti romandi: ‘Modello interessante’
Manuele Bertoli, direttore del Decs: ‘Assicurarci che il 95% dei ragazzi a 25 anni abbia un titolo di studio secondario’
Manuele Bertoli ne è convinto. Fissare a 18 anni l’obbligo formativo, per il direttore del Dipartimento educazione, cultura e sport, «sarebbe di grande aiuto a raggiungere l’obiettivo che ci siamo posti, ovvero di assicurarci che il 95 per cento dei ragazzi a 25 anni abbia un titolo di studio secondario». Attualmente il Ticino è indietro, fermandosi all’88 per cento. E quindi si guarda altrove, per vedere quali strade possono essere percorse. Una risposta potrebbe arrivare dal Canton Ginevra dove, nell’ambito di una recente modifica generale della Costituzione, è entrato in vigore proprio l’obbligo formativo a 18 anni. Ieri a Bellinzona si è svolta una giornata di studio con presente anche Sylvain Rudaz, direttore generale dell’insegnamento secondario II di Ginevra. Che, a colloquio con ‘laRegione’, spiega come «la sperimentazione in atto nel nostro Cantone da questo anno scolastico è di respiro triennale, con un obbligo di avere una formazione che porta i ragazzi a imparare un mestiere, facendo degli stage in alcune aziende senza però essere obbligati a stare in classe». Nel primo semestre, «gli studenti visitano per due o tre settimane l’uno i nostri sette Istituti di formazione professionale. Nel secondo semestre – se hanno trovato qualcosa in particolare che gli piace, gli interessa, per cui si sentono portati – passano fino a tre mesi in azienda per un vero e proprio stage. Con la speranza, concreta, di accompagnarli l’anno dopo a firmare un contratto». Ma attenzione, «lontano dai banchi scolastici». Sì, «perché si tratta di ragazzi – 530 in questo primo anno di sperimentazione – che sono già stati respinti dal sistema scolastico, quindi per loro bisogna cercare soluzioni alternative alla scuola». E sono giovani, annota Rudaz, «che hanno avuto un percorso scolastico fallimentare, che hanno avuto difficoltà importanti e non essendo stato fornito loro un orientamento sufficiente si trovano, a 15 anni, senza soluzioni e senza essere pronti ad affrontare un apprendistato. Spesso hanno avuto problemi di salute, dei disagi a scuola. Come spesso hanno vissuto sulla loro pelle problemi sociali e in famiglia. Non è mai un solo problema che blocca la loro formazione, ma un insieme di questioni personali». E giocoforza diventa fondamentale la comunicazione con le famiglie, «che incontriamo, ma mai da soli. Lo facciamo assieme ad educatori e psicologi, perché le famiglie che hanno un figlio in difficoltà sono esse stesse spesso in difficoltà. Non riescono ad aiutarlo, e assistono impotenti ai suoi problemi, e a volte fallimenti. Proviamo ad andare loro incontro». Ed è qui che si apre il doppio binario del modello ginevrino: aiutare i ragazzi a trovare,
un giorno, un contratto di lavoro. Ma aiutarli anche a livello personale, «facendoli sentire parte della società, dimostrando loro che crediamo nella loro riuscita» conclude Rudaz. L’auspicio di Bertoli è che «la nostra idea, ispirata al modello ginevrino tenendo
conto delle diversità e delle peculiarità, veda la luce nella prossima legislatura». La disponibilità politica, stando alle reazioni dei giorni scorsi, sembra esserci: «Ma la disponibilità deve concretizzarsi in un sostegno», conclude il direttore del Decs.