Sensazioni uniche
Laaksonen molto vicino a un clamoroso successo, nel giorno in cui Federer ha conquistato il suo 96esimo a Melbourne
Per Federer (Atp 3), il successo ai danni dell’inglese Evans è il 96esimo agli Australian Open. In nessun altro torneo ha vinto così tante partite, in venti partecipazioni non è mai stato sconfitto al secondo turno. Per Henri Laaksonen (Atp 166), l’approdo al terzo turno avrebbe invece avuto i crismi dell’impresa. Il 26enne sciaffusano in carriera vanta solo tre partecipazioni a uno dei quattro appuntamenti del Grande Slam, e mai prima di questi Open era riuscito ad andare oltre il primo turno. Ecco perché, se l’avesse spuntata contro il beniamino di casa Alex de Minaur (impostosi però al quinto set), avrebbe ottenuto senza timori di smentita il risultato più importante della carriera, con due straordinari annessi: un bel gruzzolo con cui finanziare la stagione, e l’onore di affrontare niente meno che Rafael Nadal, in uno di quei duelli che valgono un’annata. Poco importa se contro l’attuale Rafa il destino sembra già scritto, per chi non ha le stigmate del fuoriclasse abituato ai grandi duelli contro chi gli Slam è solito vincerli, o quantomeno segnarli a fuoco. Roger ne ha vinti più di tutti, ma non per questo snobba le tappe che portano al traguardo, né saluta mai con superficialità l’ennesima vittoria, foss’anche solo un semplice secondo turno, ostacolo che è abituato a superare, a cui sa però dare il giusto peso. Del resto, non avrebbe costruito tanti trionfi senza la massima applicazione – in termini di concentrazione – anche negli impegni sulla carta alla portata. Evans era proprio uno di quelli, da pronostico chiuso. Ciò non toglie che abbia dovuto ricorrere a tutte le armi del repertorio per venirne a capo. L’inglese, redivivo dopo un anno di squalifica (tracce di cocaina nel sangue) – come capitato a Laaksonen qualche ora più tardi –, si è trovato di fronte alla possibilità di fare il colpaccio, in barba ai pronostici. Roger ha stretto i denti quando serviva farlo, e l’ha portata a casa, una volta di più. Vittoria limpida, ma mai scontata, come più o meno ogni volta, a
maggior ragione contro giocatori che praticano un tennis simile al proprio («A tratti – ha ricordato il basilese – mi sembrava di giocare davanti a uno specchio, in una sorta di “gatto col topo”»), variato, complessivamente di buona fattura.
Domani sfiderà Fritz
Il sorriso che ha sfoggiato nel dopopartita, incalzato dai giornalisti in sala stampa e a colloquio con Mats Wilander e Barbara Schett sulla terrazza riservata agli ospiti dell’emittente Eurosport, la dice lunga sulla serenità che lo accompagna, per
nulla scalfita dalle imperfezioni di una prestazione rivedibile. Federer è cresciuto a trionfi, vittorie e qualche enorme delusione. Che sia stato impegnato più di quanto fosse lecito attendersi, sorprende forse qualche osservatore esterno, non certo lui, conscio di dover superare ben più di qualche difficoltà – già in avvio di percorso – per inseguire l’ennesimo trofeo. Ogni turno è un privilegio al quale lavora duramente, oggi come ieri. Ogni vittoria è pesante, anche la più annunciata. Addirittura pesantissima avrebbe potuto essere quella di Laaksonen. L’ha accarezzata, ma gli è
sfuggita. Per lo sciaffusano, un turno in uno Slam è una scoperta, una conquista. Se per Federer non è scontato il suo superamento (e non lo è), figurarsi per lui che ne ha giocati complessivamente solo quattro, in carriera. Il 26enne Laaksonen può dirsi orgoglioso, sì, ma anche molto rammaricato. In quanto sconfitto nel giorno in cui, con un pizzico di esperienza in più che del resto non può pretendere di avere, avrebbe potuto toccare il cielo con un dito e assaporare quelle sensazioni che a lui sono quasi sempre precluse, mentre Federer ci continua a campare,
senza mai permettersi di interpretarle con sufficienza. Rinvigorito, Laaksonen le cercherà in Coppa Davis, a inizio febbraio contro la Russia. Roger può farlo già domani, contro l’americano Taylor Fritz (Atp 50), 21enne giustiziere di Gaël Monfils, vicino allo scherzetto al basilese nel 2016, sull’erba di Stoccarda. Aveva due anni, Fritz, quando Federer disputò il suo primo incontro agli Australian Open, nel 2000. «Per praticamente tutta la mia vita è stato il migliore», ha ricordato lo statunitense. È stato? Lo è ancora, ci sia consentito ricordarlo.