laRegione

Perché ci vuole orecchio

- Di Christian Solari

L’hockey proprio non conosce crisi. Neanche d’impiego, a quanto sembra, siccome dopo le sue dimissioni a Davos, ad Arno Del Curto sono bastati quarantott­o giorni per riuscire a scovare un’altra panchina su cui sedersi. Tuttavia, dietro quella firma all’Hallenstad­ion c’è più di un semplice colpo di scena che ha fatto (e farà) discutere: quella è quasi un’ammissione di colpa da parte di uno Zurigo che a livello strategico in queste ultime due stagioni ha pasticciat­o, e non poco. Infatti, dopo aver deciso di rompere drasticame­nte con il passato, imbarcando gli svedesi Hans Wallsson e Lars Johansson (poi scaricati entrambi un annetto dopo), a fine dicembre 2017 aveva deciso di affidare la squadra ad Hans Kossmann, il quale – cosa di per sé già piuttosto curiosa – s’era dovuto accontenta­re di tappare il buco in attesa dell’arrivo di quel Serge Aubin che s’era già impegnato a Zurigo per i due campionati successivi, ma era comunque intenziona­to a onorare il suo contratto con i Vienna Capitals. E invece, nonostante tutto, quell’ultima, scombinata stagione s’è conclusa nientemeno che con il titolo, risultato che a Kossmann il tappabuchi tuttavia non potrà mai venir adeguatame­nte riconosciu­to, siccome il suo posto era già stato promesso al suo illustre successore. Anche se, a conti fatti, su quella stessa panchina Aubin è durato solo qualche mese in più di lui. Fino a lunedì mattina, appunto, quand’è stato scaricato (a quanto sembra) via sms... Piuttosto che la fulmineità della decisione, nella fattispeci­e a sorprender­e è il tempismo. Per uno Zurigo che in classifica si trova sì appena sopra la linea, ma pure a soli quattro punti dal terzo posto (occupato da un Losanna che ha pure all’attivo tre partite in più), e a livello di risultati arriva da una serie di 5 successi nelle 7 partite. Il problema, allora, qual è? «L’assenza di progressi», dicono dall’Hallenstad­ion. Tutto e niente, insomma, ma almeno fa capire che l’intenzione non è la semplice ricerca del famigerato scossone. Che funziona sì e no: non per nulla, da quando Del Curto s’è deciso a fare le valigie il Davos ha vinto la miseria di tre partite su dodici, di cui solo una entro il sessantesi­mo. Infatti non sta scritto da nessuna parte che per vincere basta cambiare un nome. Pur se, va da sé, tutto dipende dalla stima di cui gode ancora il tal tecnico all’interno del tal spogliatoi­o: in altre parole, se i giocatori tendono ancora l’orecchio oppure no. Poi, quando la situazione è compromess­a sul serio non c’è bisogno di aggirarsi nei corridoi degli stadi per accorgerse­ne: lo si capisce anche solo da ciò che succede sul ghiaccio durante le partite, senza nemmeno dover alzare lo sguardo verso il tabellone.

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