Paris si lascia tutti alle spalle
L’altoatesino festeggia il suo primo titolo mondiale. Alle sue spalle il duo Kriechmayr-Clarey. Elvetici lontani.
C’è sempre una prima volta. E quella, per il quasi trentenne Dominik Paris, capita mercoledì 6 febbraio 2019. Data in cui l’altoatesino (è nato a Merano il 14 aprile 1989) cava il numero vincente dal suo cilindro e mette in fila alle sue spalle tutta la concorrenza nel superG iridato di Åre, ottenendo il suo primo titolo mondiale. Ad accompagnarlo sul podio sono stati l’austriaco Vincent Kriechmayr e il francese Johan Clarey, entrambi saliti sul secondo gradino ed entrambi staccati di 9 centesimi di secondo dal vincitore. Un Paris che non era forzatamente il grande favorito su questa pista, lui noto per la sua predilezione per i tracciati più temerari, anche al limite del praticabile, come ben evidenziano i successi a Bormio e Kitzbühel. Ad Åre, tuttavia, il possente italiano (un quintale di stazza), vicecampione del mondo in discesa nel 2013 a Schladming, ha saputo trovare la formula vincente per far saltare il banco, facendo la differenza in particolare nella parte bassa del tracciato, in cui ha saputo mantenere la velocità acquisita in quella superiore. «Dopo le vittorie di Bormio e quella a Kitzbühel è arrivato anche questo oro; è davvero un anno magico – è il commento a caldo di un raggiante Paris –. Sono sceso tra i primissimi (con il pettorale numero 3, ndr), e non avevo punti di riferimento. Al traguardo non ero certo della bontà della mia gara. Sono andato a tutto gas ma, nella parte finale, ho dovuto correggere, perdendo tempo e velocità. Poi è stata una lunga attesa per vedere se qualcuno sarebbe stato più bravo di me». Cosa che, al tirar delle somme, non si è verificata: solo i citati Vincent Kriechmayr e Johan Clarey sono stati in grado di opporre una certa resistenza all’italiano (col francese che ha così ribadito che il suo secondo posto a Kitzbühel e il quarto in Val Gardena non erano frutto del caso), ma pure loro si sono dovuti dichiarare battuti al suo cospetto.
Svizzeri nettamente battuti
Gara invece da dimenticare per gli svizzeri. Il migliore del poker battente bandiera rossocrociata è stato Marco Odermatt. La giovane promessa grigionese, oro ai mondiali Juniores, ha terminato la sua gara al dodicesimo rango, staccato di 58 centesimi dal vincitore. Sceso con il pettorale numero 1, Beat Feuz, dal canto suo, non è praticamente mai riuscito a trovare il giusto ritmo. E così, il bernese, dato come uno dei grandi favoriti su un tracciato che sembrava essere fatto su misura per le sue caratteristiche, è scivolato
ancora più nelle retrovie, addirittura quasi alla ventesima piazza: 18° rango per lui, con un ritardo di un secondo giusto giusto nei confronti di Paris. «Evidentemente non è stato un vantaggio scendere per primo – si rammarica l’elvetico –. Si ha come l’impressione di essere l’apripista. La scarsa luminosità non ha aiutato, anche se è stata la stessa per tutti i concorrenti. Non è facile gestire i diversi cambiamenti del terreno e andare a caccia delle porte nascoste quando tutto diventa più scuro». La gara di Thomas Tumler, invece, è durata appena una quarantina
di secondi. Il grigionese è infatti stato tolto di scena dopo aver mancato una porta. Un’eliminazione, la sua, che lascia un po’ d’amaro in bocca, visto che nella parte alta aveva fatto segnare interessanti riscontri cronometrici. Stesso discorso per Mauro Caviezel, che dal canto suo in gara ci è rimasto per un minuto circa, prima di conoscere il medesimo destino del suo connazionale.
Male gli altri grandi
Oltre alla Svizzera, è pure la Norvegia a dover mandare agli archivi il superG iridato da grande battuta. Molto atteso, Aksel Lund Svindal non è riuscito nell’impresa di mettersi al collo una nona medaglia iridata. L’ormai 36enne si è dovuto accontentare del sedicesimo tempo, a poco meno di un secondo (92 centesimi) dal vincitore. Lo si rivedrà nella discesa di sabato, gara che sarà anche l’ultima della sua carriera. Kjetil Jansrud, 20° a 1”18, ha invece cercato di fare tutto il possibile nonostante le due fratture alla mano che l’hanno evidentemente condizionato nel suo risultato finale.