Frammenti di vita
Microcosmi / Sguardi sulle cose che cambiano, nel territorio e nelle persone
Due incontri sull’arte e sugli artisti: la passione di Mario Matasci e le ricognizioni minimaliste di Aldo Balmelli
Prima della recente nevicata, scendendo col Tilo direzione Tenero, un paesaggio formato da contrasti dettava i contorni della giornata. Gelo sulla pianura, aridità dei boschi: umido, secco. I contrasti attraversano la vita, l’alimentano. È il confine tra le cose sognate e svelate; perse, attese. Sono le immagini, “le orde incappucciate che sciamano/su Pianure infinite, inciampando nella terra/ screpolata”, la terra desolata di Eliot. Incontro Mario Matasci, appassionato all’arte e agli artisti, ricordiamo la Galleria di Tenero – quarant’anni di mostre di pittura, scultura, fotografia – dal 2009 presente con la collezione nella struttura ‘Deposito, Fondazione per l’Arte Matasci’, a Riazzino. “Fuori un’oasi incolta di verde, dentro, un semplice capannone ha trovato una seconda vita”, è scritto. Occasione, la prima mostra qui dedicata a Franco Francese, ‘Riflessioni sulla condizione umana’. Artista tra i prediletti da Matasci che in centoventicinque tra dipinti e disegni ne accoglie la testimonianza. Nato a Milano nel 1920, morto nel 1996, inquieto e solitario, “figura emblematica di un complesso travaglio intellettuale e storico”, scrive Rita Sarais nella quarta di copertina della pubblicazione a lui dedicata. Accanto alle opere, leggiamo i commenti di critici che hanno seguito con rigore il percorso di Francese, temi sviluppati nella bella introduzione di Claudio Nembrini, che parla di una dialettica insita nel vissuto di uomo e di artista, in una tensione irrisolvibile. Una “dialettica che sposta di continuo il centro dell’universo, tra sé e il mondo…”. Distante dal concetto di stile, un pittore “ossessionato dal rischio dell’ingabbiatura, e dunque della perdita della propria libertà espressiva”. Dopo avere visitato la mostra, siedo con Mario Matasci. Francese, artista che gli è caro. “Ho fatto già cinque mostre di Franco Francese. La prima nell’80 e poi a scaglioni perché lo spazio di Tenero è piccolo; per tema, documentate con un catalogo. Quadri che avevo desiderio di vedere assieme e dato che a Riazzino lo spazio si presta per volumetria e pareti, è stato possibile”. La reazione del pubblico? “È una mostra che suscita molto interesse. Piuttosto completa. C’è sempre un quadro importante e gli studi preparatori. Studi che sono venuti anche dopo perché Francese li faceva a seguito dei quadri principali. Lui è stato un grande disegnatore”. Nell’introduzione, Nembrini parla di una modernità non di moda. “Non le ha mai seguite. Quando a Milano imperversava l’informale, ha continuato nel suo percorso: una pittura figurativa o piuttosto di contenuto. Nei lavori, c’è sempre dietro un pensiero”. In alcuni di questi, presenze anche misteriose. “Sì. Specialmente nel bestiario c’è una figura che è bestia e umano. Temi interessanti e complessi: penso a ‘Dispera di elevarsi’ o ‘Guarda dalla soglia’. Per questo, ho cercato di inserire brevi commenti, aprendo una strada al visitatore”. Vedendo le opere, penso alla capacità dell’artista di cogliere frammenti di vita. “È la sua sensibilità. Qualche volta ci sono quadri fuori dalle tematiche principali. ‘A quelli di Kronstadt’ è l’unico, suo, politico. Un quadro a cui teneva moltissimo e che non ha mai voluto vendere. L’ha fatto poco prima di morire, per coprire le spese ospedaliere”. L’incontro con la moglie, Elide, i sacrifici. “Non ha mai avuto un successo di mercato. Viveva modestamente: non sapeva farsi valere, evitava i contatti”. Splendide, le undici stazioni pittoriche dedicate a Elide. ‘Elide morente’. La donna assume il volto della solitudine di fronte alla morte. Francese, sembra tenerla in vita in una tensione creativa, trasfigurante, di rara forza. La mostra è visitabile fino a domenica 17 febbraio (Info: 078 601 60 24). Colgo il gentile invito di Mario Matasci per un passaggio verso Locarno, così parliamo ancora della mostra e di altre cose che riguardano la vita quotidiana. Ho un appuntamento con Aldo Balmelli, luganese, che da anni sviluppa con la macchina fotografica una ricognizione minimalista. Da Molino Nuovo – luogo dei fondamenti – fino a Barcellona, Napoli, Palermo e oltre: intorno a graffiti, murales, vagoni ferroviari, vicoli e altro ancora. Siamo a pranzo al Ristorante Vallemaggia di Pro Infirmis, dove cura per il cibo, accoglienza, sono di casa. Qui, l’esposizione ‘Fattu in Corsica’, aperta fino al 29 aprile. Penso che l’isola sia in qualche modo la tua seconda patria. Torni là con lo stesso entusiasmo. “È una passione da circa trent’anni. Con Nichi, non abbiamo mai perduto questa attrazione”. Cosa senti? “I paesaggi diversi, il mare che forse è la cosa piu’ banale e non sarebbe sufficiente per tornarci. L’interno, ricco di testimonianze della vita passata. Fino a cent’anni fa la Corsica viveva nell’entroterra, i villaggi, i borghi popolosi erano quelli; il mare era fonte di pericolo più che di ricchezza. La costa è disseminata di torri genovesi, a testimoniare il pericolo di invasioni”. E le montagne. “Certo. I boschi, le chiese. Grandi, ricche, che disseminano il territorio. Vuol dire che c’erano risorse per costruirle. Poi, inizia l’emigrazione verso l’estero e la costa, grazie al turismo. Le cose si sono rovesciate; l’interno, si spopola. Zone che assomigliano al Ticino. Una si chiama ‘Castaniggia’, per via dei castani e ricorda il Malcantone”. Gli incontri? “C’è sempre un’osteria, un piccolo commercio, così incontri persone, assaggi prodotti vivi, apprezzati. Miele, salumeria”. La popolazione? “C’è l’orgoglio nazionale. Per loro, la Corsica è nazione. Nella mostra sono presenti emblemi, pitture, dipinti col moro corso”. La tua fotografia va sui dettagli. “Da Molino Nuovo, il mio modo di osservare è stato ridurre la prospettiva, invece di fotografare paesaggi aperti. Il raggio è limitato, un segno dell’attività umana. Può essere evidente o meno, ma deve essere qualcosa che vivacizza il contesto”. Nel 2012, Aldo ha esposto al museo Flaminio Bertoni di Varese. Una scritta su un muro giallo, dice, ‘vita’.