Contro il torpore cerebrale
Il ‘Mistero buffo’ di Fo stasera e domani al Teatro Sociale di Bellinzona, con Matthias Martelli Quattro chiacchiere con il giovane attore urbinate sul capolavoro che compie cinquant’anni e sulla sua tremenda attualità
“’Tento te... lengua, ciodo, purtùn... ’tento te...”. Indimenticabile e spassosissima battuta del secondo dei nove episodi – Bonifacio VIII, qui ricordiamo la “lenguada” – di una delle opere teatrali più celebri della tradizione, il “Mistero buffo” di Dario Fo. Considerato il capolavoro dell’autore lombardo, il grande classico portato sulla scena migliaia di volte, ancora oggi, è uno dei testi con cui confrontarsi per la sua attualità, sia di temi sia di linguaggio: «Un classico universale che si rifà al teatro totale, grazie alla ripresa del genere giullaresco». L’occasione di gustare (trattasi di esperienza completa, non solo per occhi e orecchie) l’opera scritta dal grande Dario Fo è data dal Teatro Sociale di Bellinzona, questa sera e domani, venerdì 15 febbraio, alle 20.45 (la rappresentazione di oggi propone un’introduzione con il professor Demis Quadri, dalle 20). La “giullarata popolare”, produzione del Teatro della Caduta e del Teatro Stabile di Torino, vede la regia di Eugenio Allegri ed è interpretata dall’attore Matthias Martelli che, dall’altro capo della cornetta, ha “dissetato” un paio di nostre curiosità.
Non attuale, ma attualissimo
«È un privilegio», esclama nella cornetta il giovane attore urbinate, quando gli chiediamo che cosa significhi per lui interpretare il testo di Fo. «Sono cresciuto con “Mistero buffo”. L’ho visto da bambino ed è lo spettacolo che mi ha spinto verso il teatro». Il testo portato sulla scena è fedele allo stile interpretativo, ma, come ci racconta, costruisce una satira nuova: «I temi del “Mistero buffo” sono incredibilmente attuali». Basti pensare all’aderenza con la contemporaneità dell’episodio del primo miracolo di Gesù bambino, che è un immigrato; oppure, alla tracotanza del potere – «oggi più subdolo» –, pensando a Bonifacio VIII. «Come già Dario Fo, anche in questo lavoro, il regista Eugenio
Allegri ha fatto opera di aggiornamento: il testo che presentiamo fa riferimenti costanti a ciò che sta accadendo nella nostra contemporaneità». La fedeltà allo stile è imprescindibile, poiché è una delle caratteristiche importanti di “Mistero buffo” che non sarebbe l’opera che è senza il grammelot: «Una lingua reinventata, fortemente onomatopeica, che miscela più linguaggi» e ogni volta reinterpreta e assume la cadenza di lingue locali. Una lingua fatta di suoni cui si accompagnano «gestualità e mimica che, insieme all’uso dello spazio, prende vita sulla scena». Questo fa sì che il grammelot sia compreso «dalla Sicilia a Londra [asse su cui si sono susseguite le rappresentazioni con Martelli; ndr]»,
uno strumento di comunicazione universale, capito in ogni dove. A distanza di 50 anni, dalla sua prima assoluta, “Mistero buffo” non è attuale, ma «attualissimo». Negli anni, sono cambiati luoghi e attori, ma i fatti cui faceva riferimento (con piglio satirico) Fo sono, ahinoi, gli stessi anche oggi: uno su tutti – come si scriveva qualche riga sopra – la vicenda che vede protagonista un Gesù bambino immigrato (“Va’ via, Palestina”). Ma non è tutto, il testo tramanda anche un messaggio, se vogliamo dargli definizione, essenziale: «È un elogio al tempo presente, al vivere qui e ora», chiosa Martelli. La satira oggi è uno strumento ancora efficace?, gli abbiamo chiesto. «Certo, è essenziale;
è un mezzo necessario ed efficace, soprattutto in quest’epoca di perdita del senso critico, perché fa emergere le contraddizioni. È uno stimolo per il cervello». In un’epoca (la nostra) di sopimento della ragione, come l’ha definita l’attore urbinate, come è possibile che la satira abbia presa? «Forse ora è meno potente, ma come all’epoca medievale è seguito il Rinascimento; in questo momento di oscurità, la satira ha una grande funzione» perché può avviare un moto di cambiamento; «per questo è necessaria». Necessaria alla sopravvivenza dell’indignazione, all’emersione delle incoerenze e soprattutto indispensabile al senso critico.