Un’altra giornataccia per Trump
L’ex vicedirettore dell’Fbi racconta di piani per destituire il Presidente Intanto lo stratega Manafort è riconosciuto colpevole di aver mentito sulla Russia. E per finanziare il muro resta solo la via dell’emergenza nazionale.
Ansa/red
Washington – Levateje la Casa Bianca. I vertici del ministero della Giustizia Usa erano così infuriati dalla decisione di Donald Trump di silurare nel maggio 2017 il capo dell’Fbi James Comey che discussero l’ipotesi di reclutare membri del governo per invocare il 25esimo emendamento della costituzione: quello che permette di rimuovere il presidente per incapacità di esercitare i suoi poteri. Lo ha confermato pubblicamente il successore ad interim di Comey, Andrew McCabe (anche lui poi licenziato), insieme alla sua decisione di aprire subito una inchiesta “solida” sul presidente per ostruzione della giustizia e collusione, nel timore che tutto potesse essere insabbiato. Il tycoon ha reagito accusando McCabe di essere un “burattino della talpa Comey”, di essere parte di un complotto per favorire la “corrotta Hillary”. Ma dal fronte Russiagate arriva per Trump un’altra brutta notizia in questa giornata nera, in cui il Congresso vota la legge anti-shutdown senza i fondi per il muro col Messico: un giudice ha stabilito che Paul Manafort, l’ex capo della campagna del tycoon, ha mentito all’Fbi sui suoi rapporti con i russi, violando l’accordo di cooperazione e rischiando ora una pena più severa. McCabe ha fatto le sue rivelazioni in un’intervista alla Cbs che verrà trasmessa integralmente domenica, alla vigilia dell’uscita del suo libro “La minaccia: come l’Fbi protegge l’America nell’età del terrore e di Trump”. Dopo il siluramento di Comey, McCabe incontrò Trump. “Stavo parlando all’uomo che aveva appena vinto le presidenziali e che poteva esserci riuscito con l’aiuto del governo russo, il nostro più formidabile avversario. C’era qualcosa che mi preoccupava fortemente”, ha raccontato l’ex capo ad interim dell’Fbi per spiegare la sua decisione di allargare l’inchiesta sulle interferenze russe a una possibile collusione del presidente e a una sua ipotetica ostruzione della giustizia. “Mi interessava molto poter dare all’indagine basi assolutamente solide in un modo indelebile, in modo che se anche fossi stato rimosso il caso non potesse essere chiuso o svanire in una notte senza traccia”. Ma McCabe conferma anche che negli otto giorni successivi al licenziamento di Comey l’allarme era tale che al ministero della Giustizia ci furono alcune riunioni per discutere se il vicepresidente e la maggioranza dei ministri potevano essere convinti a rimuovere il presidente in base al 25esimo emendamento. Tra i presenti anche il vice attorney general Rod Rosenstein, che si sarebbe offerto di registrare segretamente i suoi incontri con Trump. Una ricostruzione che Rosenstein, vicino alle dimissioni,
ha respinto come “inaccurata”. Intanto si complica la posizione di Manafort: un giudice ha riconosciuto che ha mentito su vari episodi, in particolare sui suoi rapporti col suo ex socio russo Konstantin Kilimnik, ritenuto vicino all’intelligence di Mosca. Con lui discusse un piano di pace in Ucraina che potesse far revocare le sanzioni Usa alla Russia per le sue ingerenze. E a lui consegnò i sondaggi riservati della campagna elettorale. Ora non gli resta che sperare nella grazia di Trump per non finire la sua vita in galera. Il tycoon si può consolare solo con la conferma al Senato del ministro della giustizia William Barr, che supervisionerà anche il Russiagate. Ma per evitare oggi un nuovo shutdown dovrà accettare un compromesso bipartisan senza i 5,7 miliardi per il muro: ci sono solo 1,3 miliardi per un breve tratto di recinzione metallica. Trump intende firmare, poi cercare di ottenere i fondi dichiarando un’emergenza nazionale.