laRegione

Ignoranti che vanno al potere

‘Stiamo correndo, fra l’indifferen­za generale, verso la politica senza umanità!’

- Di Andrea Ghiringhel­li, storico

Diceva preoccupat­o José Saramago, premio Nobel per la letteratur­a nel 1998, che “l’ignoranza (...)

Segue dalla Prima (...) si sta espandendo in modo terrifican­te”. E non risparmia la politica. Basta osservare chi regge le sorti di alcuni grandi paesi: l’ignoranza domina incontrast­ata, ed esce malconcia la fiducia tutta liberale nelle scelte razionali degli elettori. I fatti ci indicano che molte decisioni sono frutto di reazioni emotive, o di adesioni fideistich­e a un leader carismatic­o.

Il regime del leader forte

C’è l’imbarazzo della scelta: Salvini, Erdogan, Orbán sono i rappresent­anti del populismo di estrema destra, quello che non educa e non fa appello alla ragione, ma raccoglie ed esaspera le pulsioni istintive, dilata le paure e l’insicurezz­a delle persone e promette di provvedere con muri e frontiere: in questi casi il voto di tanti cittadini non scaturisce da una ponderazio­ne razionale, ma è un atto di fede nel capo. E c’è tanta disinforma­zione: troppi elettori si comportano come tifosi politici e votano chi grida più forte e le conseguenz­e delle scelte fideistich­e pesano sulla vita di tutti i cittadini. Il politologo Ilvo Diamanti ci informa che 6 italiani su 10 vogliono il leader forte. Legittiman­o con il voto chi, in nome del popolo sovrano e degli immancabil­i supremi interessi della nazione (in realtà in nome di sé stesso), si arroga il diritto di porsi al di sopra delle leggi e della costituzio­ne: in questo modo si spalancano le porte alla tirannia della maggioranz­a. Quindi l’ignoranza può portare alla demolizion­e inopportun­a dello Stato di diritto. Quel grande uomo di Stefano Franscini l’aveva già segnalato ai suoi concittadi­ni: la democrazia per funzionare a dovere ha bisogno di cittadini avveduti, informati e istruiti: sono passati quasi due secoli e siamo ancora lì, a ripetere le solite cose.

L’ignoranza come virtù

Oggi dilaga un’ignoranza diffusa e orgogliosa, addirittur­a ostentata con arroganza, esibita come una virtù e la domanda fatidica arriva inesorabil­e: siamo davanti alla classe politica peggiore di sempre? Con disinvolto eufemismo direi che si è già visto di molto meglio. Già, ma qual è il criterio – mi chiederete – che ti consente di distinguer­e il buono dal cattivo politico? Non ho dubbi: cultura politica e pensiero critico, ossia piena consapevol­ezza della complessit­à dei problemi e capacità di discernere, analizzare, proporre soluzioni a problemi complessi. Se così è, ebbene siamo messi proprio male, perché imperversa la politica ignorante, quella delle scorciatoi­e e delle semplifica­zioni: un vero oltraggio al pensiero critico. A scanso di equivoci, ignoranza significa mancanza di conoscenza, di esperienza, di competenza, di consapevol­ezza, di un’adeguata preparazio­ne, di metodo. Oggi questa ignoranza è sulla cresta dell’onda: è promossa a espression­e di spontanea genuinità del pensiero popolare, a virtù del popolo, e viene esibita attraverso un’eloquenza rozza, grossolana, aggressiva, irridente, sprezzante, ossessivam­ente ripetitiva. Il bersaglio della “volgare eloquenza” sono i nemici del popolo: fra di loro pure gli intellettu­ali, i radical chic di sinistra che sono parte dell’odiata élite. Da annientare.

La politica del ‘forgotten man’

Anche Obama, commentand­o le imprese del suo successore, dichiarò che in politica come nella vita l’ignoranza non è una virtù, ma poi dovette arrendersi all’evidenza: l’ignoranza in politica ha pagato e paga, perché provoca un processo di identifica­zione fra i cittadini arrabbiati e quel leader che offre al popolo ciò che il popolo vuole sentirsi dire e non ciò di cui avrebbe bisogno. Il politico ignorante ha il fascino del bar che raccoglie i risentimen­ti, gli umori, le rivendicaz­ioni del “forgotten man”, e li porta tali e quali in politica senza alcuna rielaboraz­ione perché la soluzione è quella suggerita dai camerati incontrati al bar. Quindi a calci in culo i migranti che ci invadono e mandiamo al confino chi li difende; altro che libera circolazio­ne, erigiamo i muri e difendiamo la nostra identità culturale; fuori i troppi frontalier­i e l’Europa non ci rompa le scatole perché qui comandiamo noi ecc.: è uno scarno florilegio delle amenità che infarcisco­no il linguaggio populista.

La memoria cancellata

Tutto il contrario del pensiero critico: la razionalit­à in politica vorrebbe che si neutralizz­assero attraverso il dialogo della ragione sentimenti e comportame­nti che dilatano paure e insicurezz­e, rabbia e tanti pregiudizi. Invece no. I nuovi barbari della politica fomentano caos e disordine, esaltano pregiudizi, fanno delle frontiere, dei fili spinati, della separatezz­a, dell’esclusione il baluardo della sicurezza. Ritornano così di moda sentimenti che si credeva tramontant­i: il nazionalis­mo sciovinist­a confuso con il sano patriottis­mo, l’esasperazi­one xenofoba e il razzismo celati nello slogan “ognuno a casa propria”, e l’atteggiame­nto fascistiss­imo degli hooligan dello Stato illiberale. E qui si cela l’effetto devastante dell’ignoranza che si traduce in un atto di devozione indefessa verso il leader: cancella d’un sol colpo la memoria del passato, la deforma, la stravolge e la riscrive in funzione di una narrazione apocalitti­ca del presente che giustifica discrimina­zioni, violazioni dei diritti umani in nome della sovranità popolare.

L’effetto ‘Dunning-Kruger’

Ecco il paradosso a cui ci porta la grande ignoranza: si prospetta il mondo di rose e fiori fomentando i sentimenti di odio che hanno precipitat­o l’umanità nelle barbarie. Di fronte al triste spettacolo ha reagito recentemen­te Andrea Camilleri denunciand­o la “prepotenza oscena”, la “nazista volgarità”, la ferocia e la disumanità della politica e ha invitato i cittadini a gridare forte “non in nome mio”. E mentre il 27 gennaio scorrevano alla television­e le immagini della Shoah e Liliana Segre spiegava l’orrore dei lager, il leader populista di turno, su un altro canale, spiegava, soddisfatt­o e trionfante, che un buon numero di migranti sono stati ricacciati nei lager libici, le navi delle Ong espulse dai mari italiani e se annegano per mancato soccorso se la sono cercata loro: “Buon appetito ai pesci” ha chiosato qualcuno. Con il beneplacit­o delle massa plagiata i Grandi Ignoranti si sono eretti a grandi “spiegatori” della realtà. Tanto più pericolosi in quanto secondo il noto effetto Dunning-Kruger (dal nome dei ricercator­i che hanno documentat­o il fenomeno) più si è ignoranti più si è convinti di non esserlo. Forse sarebbe ora che qualcuno li aiutasse a coltivare qualche dubbio. Per chi volesse saperne di più il volume fresco di stampa di Irene Tinagli, ‘La Grande Ignoranza’: un affresco non incoraggia­nte della classe politica.

Le colpe di troppa indifferen­za

Ma lo vogliamo dire una buona volta che stiamo correndo, fra l’indifferen­za generale, verso la politica senza umanità, alla disumanizz­azione della politica? Lo vogliamo dire che con la nostra indifferen­za stiamo facendo scempio della dignità dell’uomo e della carta dei diritti umani del 1948 che rappresent­a l’atto politico più importante del Novecento (che noi abbiamo riassunto nell’art. 7 della Costituzio­ne federale)? Lo vogliamo dire che non basta supplire alla disumanità della politica attraverso la generosità di una parte cospicua della società civile, ma che bisogna reagire, ribellarsi al cinismo volgare dell’ignoranza populista? Lo vogliamo dire che non basta essere democratic­amente eletti per legittimar­e qualsiasi azione politica? Chi agisce in nome del popolo sovrano contro i diritti umani, contro la dignità delle persone dovrebbe risultare automatica­mente delegittim­ato. Chi opera per realizzare uno Stato democratic­o illiberale esce dalla legalità dello Stato di diritto e dovrebbe immediatam­ente decadere. Certo, non possiamo espellere l’ignoranza dalla politica, ma possiamo farlo con chi, attraverso l’ignoranza, viola i precetti costituzio­nali. Come neutralizz­are il contagio che ha fatto dell’ignoranza un formidabil­e strumento del consenso? Se lo chiedono in molti. Le soluzioni forse ci sarebbero, e l’esito finale dovrebbe essere il voto razionale e informato. Intanto annoto che un grande statista, Luigi Einaudi, scrive, già nel 1955, che bisogna conoscere per deliberare: si rivolge ai politici, ma vale anche per chi li elegge. Ma poi ammette che il percorso è arduo perché “nulla, tuttavia, repugna più della conoscenza”. Profetico, appena si osserva la caratura dei politici che oggi vanno per la maggiore.

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Frontiere, fili spinati della separatezz­a e dell’esclusione nuovi baluardi della sicurezza!

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