Un palmarès (quasi) perfetto
I “gilet gialli” hanno aggredito il filosofo francese Alain Finkielkraut, incontrato per le strade di Parigi: la colpa del sessantanovenne accademico è di essere ebreo. Al Festival di Berlino, che ha gli stessi anni del filosofo, la Giuria guidata da Juliette Binoche ha laureato con l’Orso d'Oro il film ‘Synonymes’ del regista israeliano Nadav Lapid, che ha come tema la fatica di essere ebreo a Parigi. Come sempre la Berlinale è attenta alla società in cui viviamo, e questa volta riesce a sposare l’attualità non solo con il film vincitore, ma anche con il secondo premio, il Gran Premio della Giuria a ‘Grâce à Dieu’ di François Ozon. Proprio nel giorno in cui in Vaticano il cardinale Theodore McCarrick è stato ridotto allo stato laicale per pedofilia, il regista francese prende un premio raccontando un fatto di pedofilia sacerdotale che ha portato poche settimane fa in tribunale il cardinale arcivescovo di Lione e primate delle Gallie, Philippe Barbarin. Hanno dell’incredibile le casualità rivelate da questo palmarès, se poi si pensa ai problemi comportamentali dei bambini in età scolare, aggravati dall’ambiente in cui vivono. Allora, ecco il terzo premio, il Silver Bear Alfred Bauer Prize a ‘Systemsprenger’ (System Crasher), di Nora Fingscheidt, che affronta di petto il problema. Premi meritati? Visto il peso che hanno civilmente, senz’altro sono perfetti. Come i due premi per l’interpretazione maschile e femminile ai protagonisti dello stesso film, ‘So Long, My Son’, di Wang Xiaoshuai: l’attrice Yong Mei e l’attore Wang Jingchun. Il film, che forse meritava il premio maggiore, racconta il cammino forzato di una Cina che ha cancellato il valore del singolo individuo; e in questo senso ha dell’ironia, forse involontaria, il premio individuale a un film corale. L’orso d’argento per la miglior sceneggiatura a Maurizio Braucci, Claudio Giovannesi e Roberto Saviano per ‘La paranza dei bambini’ di Claudio Giovannesi segnala un’opera di scrittura interessante anche se incapace di diventare film compiuto. Due premi restano poi ai bordi di una scelta sociale, cui anche il film italiano appartiene: si tratta del contestato premio per la miglior regia a Angela Schanelec per il suo ‘I Was at Home, But’, film sulla sedimentazione di un dolore in una famiglia, e di quello per la fotografia a Rasmus Videbaek per ‘Out Stealing Horses’ di Hans Petter Moland, film intimo sviluppato su grandi spazi. Resta fuori dai premi il film simbolo di questa Berlinale, il macedone ‘Gospod postoi, imeto i’ e Petrunija’ (God Exists, Her Name Is Petrunya) della regista Teona Strugar Mitevska. Forse era un film troppo al femminile e spudoratamente anti-machista, per essere amato da tutta la giuria, una giuria che ha perso così l’occasione per un palmarès perfetto.