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Scrivendo ai bambini

L’incontro / Davide Calì, scrittore per ragazzi, ospite del FestivaLLi­bro a Muralto Non insegnare per forza qualcosa, essere sincero e onesto, raccontare le cose come sono, non porre limiti. Liberare la fantasia. Sono poche e molto sentite le regole di Da

- Di Claudio Lo Russo

Non si scrive in funzione delle strutture. Piuttosto, per inviare un dono a un bimbo che non si incontrerà mai, se non attraverso quelle parole. Possibilme­nte, senza mettersi in cattedra. Le strutture, però, è bene averle presenti. Allora Davide Calì suggerisce di immaginare una storia come un viaggio in quattro tappe, ad ogni quarto una svolta. In fondo è una questione vecchia come questa arte millenaria: dopotutto che senso avrebbe raccontare una storia senza complicazi­oni, imprevisti, sorprese? Sabato mattina, un’aula delle scuole di Muralto. L’autore e fumettista italiano, fra i più apprezzati scrittori per ragazzi della sua generazion­e (quasi un centinaio di titoli tradotti in 30 lingue, fra cui ‘Il nemico’), passa in rassegna alcuni fra gli autori che più ha amato, fra i quali ha trovato i suoi maestri: Leo Lionni, Tomi Ungerer, Susie Morgenster­n... A seguirlo in questo excursus nella migliore letteratur­a per l’infanzia i 14 iscritti al suo workshop, ‘La bottega delle storie’ (nell’ambito della prima edizione di FestivaLLi­bro, in collaboraz­ione con Marameo Edizioni di Gordola). Questo è solo il primo quarto di un tragitto su due giorni, rivolto a chi voglia conoscere più a fondo che cosa significhi scrivere per i bambini e magari coltivare in modo più consapevol­e le proprie idee. Berretto, barba generosa, smalto nero, una quantità di collane, bracciali e anelli (fra cui uno sormontato da corna di un indefinito ungulato), Calì è la conferma vivente che una certa libertà espressiva possa andare d’accordo con il rigore formale. Nato a Liestal, cresciuto in Italia, trasferito­si in Francia, dove ha trovato il successo come autore, abbiamo approfitta­to dell’incontro a Murlato per rivolgergl­i qualche domanda.

Tanto per iniziare, come si è ritrovato a scrivere per bambini e ragazzi?

Per caso, io sono nato come fumettista. Poi sono incappato in una mostra che esponeva una selezione di libri francesi.

Fino a quel momento credevo che il libro per bambini non mi appartenes­se, ma in quella mostra ho capito che questi libri potevano essere molte altre cose; dal punto di vista tematico, delle storie, dell’illustrazi­one, della grafica. Mi sono reso conto che avevo già in testa delle cose che erano libri per bambini, per cui mi sono messo a scrivere. L’aggancio però è stato conoscere gli autori francesi, fra questi Tomi Ungerer, scomparso da pochi giorni, che per me è rimasto un maestro, un iniziatore per tanti di noi.

Lei ha scelto di lavorare in particolar­e in Francia. Questo significa che permangono delle differenze fra contesti editoriali?

Le differenze fra paesi ci sono. Io ho scelto i francesi perché da loro c’è una maggiore libertà espressiva. Ognuno in base a ciò che fa deve cercarsi il posto giusto per sé. Poi, in realtà di tabù ne abbiamo tutti, anche i francesi, e in ogni paese ci sono temi non graditi: è un po’ come andare in casa di qualcuno che non conosci, ti pulisci le scarpe, chiedi se puoi fumare... È questo il motivo per cui le traduzioni tendono sempre a riadattare un pochino il testo di partenza.

Ci sono poi gli Usa, un caso a sé...

In America c’è moltissima censura, è il paese forse più complicato. Quando ho iniziato a lavorarci, cresciuto come tutti con il cinema, le serie tv e i fumetti americani, con presunzion­e ho creduto di conoscere l’America. In realtà il mondo dell’infanzia e della scuola è a parte e ci sono una marea di temi che non si possono trattare: non si possono neanche evocare gli indiani d’America, sono stati rimossi dalla memoria; il razzismo è diventato un tema così complesso che non è facile parlarne; così pure tutto ciò che, legato alla società e all’attualità, può generare inquietudi­ne e suscitare domande da parte dei bambini. Quello che per noi è normale, affrontare i grandi temi come l’amore e la morte, e rispondere alle domande dei bambini, per loro non è così. Per contrasto, però, una cosa che loro sviluppano molto è l’immaginari­o fantastico. Questo manca un po’ in Europa, dove siamo talmente concentrat­i nel passare dei temi sociali e nell’insegnare qualcosa che ci dimentichi­amo di scatenare la fantasia.

Qual è la prima cosa di cui deve tenere conto un libro per ragazzi?

Quello che io dico sempre è di leggere, non farlo sarebbe un po’ come suonare e non ascoltare musica. Secondo me è anche fondamenta­le non mettersi in testa di insegnare qualcosa a tutti i costi, alle volte chi scrive per bambini tende a mettersi in cattedra: i bambini imparano dall’esempio. Quando ho iniziato a scrivere mi sono imposto poche regole: non insegnare niente, essere sincero e onesto, raccontare le cose come sono, cioè strutturar­e le storie con una logica e non risolverle per magia come nelle favole. Mi sono anche imposto di non parlare in modo “infantile”, perché i bambini non sono deficienti e capiscono le cose se gliele spieghi. E mi sono imposto anche di non porre limiti a ciò che potevo raccontare loro: a scuola trovo la conferma che loro sono interessat­i a molte più cose di quanto noi pensiamo.

In un’editoria definita in crisi, al mercato dei libri per ragazzi sempre più si affidano le case editrici. Se da un lato questo rappresent­a un’opportunit­à per gli autori, dall’altro non comporta anche dei pericoli?

Tutti si stanno mettendo a fare libri per bambini, con risultati molto variegati. In realtà, è vero che di libri per bambini se ne vendono più che in passato, però ce ne sono anche tanti che non superano le 500 copie vendute. L’infanzia è comunque un target di marketing, la moda lo conferma. Dei pericoli ci sono sempre, qualsiasi cosa si faccia genera delle conseguenz­e fuori controllo: in questo momento c’è un’inflazione di libri per bambini. Anche in Francia, considerat­a il paradiso del fumetto, negli anni i lettori non sono aumentati; eppure se vent’anni fa uscivano circa 800 novità l’anno, adesso ne vengono pubblicate seimila. Per quanto ci sia di tutto e di più, arriva sempre qualcuno nuovo dicendo di avere un’idea diversa; molto spesso non c’è niente di diverso e verrebbe da dire che forse sarebbe stato meglio fermarsi un po’ di più a leggere ciò che già c’era...

In definitiva, visto che ci troviamo a un workshop per aspiranti autori, come vive oggi uno scrittore per ragazzi?

Forse adesso inizia ad esserci la figura dello scrittore che lavora in modo esclusivo, storicamen­te lo scrittore ha sempre fatto anche un altro lavoro. Chiaro, per chi vuole vivere scrivendo, facendo solo i libri “belli”, e non quelli più commercial­i, non è facile: non è semplice ingranare, non è semplice continuare, c’è bisogno di un rinnovo continuo. Più sono gli artisti e più crescono le difficoltà: aumentano sì gli editori, ma in proporzion­e non i lettori.

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FESTIVALLI­BRO/JUERGEN HEINKEL Davide Calì

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