Il gas venuto dal freddo
I gasdotti sono divenuti gli elementi determinanti di una contesa strategica nella quale l’approvvigionamento energetico non è meno decisivo degli arsenali. La partita tra Mosca e Washington si disputa, ancora una volta, sul territorio europeo, dove le pi
Vyborg – È in un anonimo edificio di tre piani vicino al centro storico la sede della società Nord Stream. Da qui la stazione di compressione di Portovaya, che ha la capacità di pompare annualmente nella pipeline 55 miliardi di metri cubi di gas verso la Germania, è lontana soltanto un’ottantina di chilometri, in una zona di confine con la Finlandia. La “finestra energetica occidentale”, che si apre da quella palazzina fino al cuore dell’Europa, serve alla Russia per evitare il transito attraverso l’Ucraina, Paese con cui il Cremlino ha relazioni burrascose. Energia, geopolitica e strategia sono un intreccio indissolubile nella visione di Vladimir Putin. L’elemento nuovo è che adesso decennali equilibri rischiano di subire un brusco cambiamento per l’arrivo di petrolio e gas d’oltreoceano. Inizia infatti a sentirsi la concorrenza statunitense, dopo che la Casa Bianca ha cancellato nel dicembre 2015 il bando quarantennale all’export grazie alle importanti novità produttive ga- rantite dalla cosiddetta “rivoluzione energetica dello shale”.
Tra le accuse rivolte di frequente dai russi è che gli americani utilizzano la loro politica estera per guadagnare sempre più ampie fette del mercato europeo nonostante le loro materie prime siano più care.
Il rischio maggiore, viene denunciato, è che presto l’Amministrazione Trump inizi a prendere seriamente di mira la Germania con sanzioni per il suo assenso al raddoppio del gasdotto Nord Stream sotto al Mar Baltico, infrastruttura che accrescerà il potenziale di fornitura di metano siberiano all’Unione europea. L’opera, indirettamente, ridimensiona il peso geostrategico dell’Ucraina sul cui territorio transitava fino allo scoppio della prima guerra del gas nel 2006 l’80% circa del metano consegnato all’Ue. Ecco perché in Europa – soprattutto fra gli ex satelliti del Cremlino – sono in tanti a voler mettere i bastoni tra le ruote a Mosca e a Berlino.
Ma la costruzione del Nord Stream 2 è già iniziata nel maggio scorso e avanza di tre chilometri al giorno sotto al Baltico. A novembre erano già stati coperti 200 dei 1’230 chilometri del tragitto. I russi hanno fretta, molta fretta. Nel febbraio 2018 il Tribunale arbitrale di Stoccolma ha dato ragione all’ucraina Naftogaz in una causa contro la monopolista Gazprom, costringendola a pagare 2,56 miliardi di dollari. Inoltre, a fine 2019, scadrà il contratto per il passaggio del gas federale sul territorio ucraino. Cosa succederà dopo il prossimo 31 dicembre nessuno è in grado di prevederlo. Negli ultimi mesi la Gazprom ha già ridotto i volumi spediti per quella via. Il Cremlino intende aggirare l’ostacolo sia con il Nord Stream 2, sia aprendo definitivamente la “finestra energetica meridionale” con il Turkish Stream dopo che il progetto per la costruzione della pipeline South Stream sotto al Mar Nero è fallito.
La condotta verso la Turchia è stata completata nel suo ramo off-shore ed è già stata inaugurata per esigenze politiche nell’autunno passato. “È un progetto storico in termini di relazioni bilaterali sia di geopolitica energetica della regione, dove facciamo grandi sforzi con i nostri amici russi”, ha affermato in quell’occasione il presidente Erdogan.
Greggio e propaganda
Pronta la risposta di Putin: “Progetti di questo tipo, e questo progetto in particolare, non sono diretti contro gli interessi di qualcuno. Mirano a sviluppare il rapporto tra gli Stati, a creare condizioni sostenibili per lo sviluppo dell’economia, per la crescita del benessere dei cittadini dei nostri Paesi”.
Il Turkish Stream è nell’idea di Putin un sostituto (nonostante la minore capacità) del South Stream con due rami che dalla Grecia forse raggiungeranno un giorno uno l’Italia l’altro l’Austria.
A Belgrado, in gennaio, il presidente russo ha incassato il sostegno serbo, ma gli Usa e l’Unione europea sono estremamente vigili su quanto sta avvenendo. Per esigenze di diversificazione entrambi sostengono la Tap, che porterà il concorrente metano azero fino in Puglia. L’Europa ha invero una forte necessità di infrastrutture sia per garantirsi la futura crescita sia per centrare gli obiettivi ecologici definiti nel trattato di Parigi. Il Cremlino ha, invece, due problemi: garantirsi proventi per rimpinguare il magro budget federale, mettendo contemporanee basi per future esportazioni; tenere alto il morale del popolo, mostrando come la Russia si faccia rispettare sui mercati internazionali. La propaganda lavora pertanto a pieno regime: sui canali federali la musica è impetuosa, le immagini sono da grandeur cinematografica. “Sila Sibiri”, la “transiberiana” energetica di Putin, avanza a marce forzate verso est, verso la Cina, superando implacabilmente ogni ostacolo naturale. Questo il messaggio dello spot ufficiale rilanciato all’infinito per inorgoglire la gente della strada.
Se a ovest vi sono difficoltà, a est va appena meglio. La vendita di materie prime a Pechino garantisce profitti: dal 2017 Mosca è il primo fornitore di petrolio per 23 miliardi di dollari annui. La Russia si è pure messa a commercializzare greggio. Ad esempio quello venezuelano è trasportato alle raffinerie in giro per mezzo mondo e poi rivenduto. Essere campione nei settori strategici è il piano di Vladimir Putin per conservare lo status di potenza. L’accordo con l’Arabia Saudita, “l’Opec 2”, per il mantenimento di un prezzo elevato per il petrolio ne è un esempio.