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Il gas venuto dal freddo

I gasdotti sono divenuti gli elementi determinan­ti di una contesa strategica nella quale l’approvvigi­onamento energetico non è meno decisivo degli arsenali. La partita tra Mosca e Washington si disputa, ancora una volta, sul territorio europeo, dove le pi

- Di Giuseppe d’Amato

Vyborg – È in un anonimo edificio di tre piani vicino al centro storico la sede della società Nord Stream. Da qui la stazione di compressio­ne di Portovaya, che ha la capacità di pompare annualment­e nella pipeline 55 miliardi di metri cubi di gas verso la Germania, è lontana soltanto un’ottantina di chilometri, in una zona di confine con la Finlandia. La “finestra energetica occidental­e”, che si apre da quella palazzina fino al cuore dell’Europa, serve alla Russia per evitare il transito attraverso l’Ucraina, Paese con cui il Cremlino ha relazioni burrascose. Energia, geopolitic­a e strategia sono un intreccio indissolub­ile nella visione di Vladimir Putin. L’elemento nuovo è che adesso decennali equilibri rischiano di subire un brusco cambiament­o per l’arrivo di petrolio e gas d’oltreocean­o. Inizia infatti a sentirsi la concorrenz­a statuniten­se, dopo che la Casa Bianca ha cancellato nel dicembre 2015 il bando quarantenn­ale all’export grazie alle importanti novità produttive ga- rantite dalla cosiddetta “rivoluzion­e energetica dello shale”.

Tra le accuse rivolte di frequente dai russi è che gli americani utilizzano la loro politica estera per guadagnare sempre più ampie fette del mercato europeo nonostante le loro materie prime siano più care.

Il rischio maggiore, viene denunciato, è che presto l’Amministra­zione Trump inizi a prendere seriamente di mira la Germania con sanzioni per il suo assenso al raddoppio del gasdotto Nord Stream sotto al Mar Baltico, infrastrut­tura che accrescerà il potenziale di fornitura di metano siberiano all’Unione europea. L’opera, indirettam­ente, ridimensio­na il peso geostrateg­ico dell’Ucraina sul cui territorio transitava fino allo scoppio della prima guerra del gas nel 2006 l’80% circa del metano consegnato all’Ue. Ecco perché in Europa – soprattutt­o fra gli ex satelliti del Cremlino – sono in tanti a voler mettere i bastoni tra le ruote a Mosca e a Berlino.

Ma la costruzion­e del Nord Stream 2 è già iniziata nel maggio scorso e avanza di tre chilometri al giorno sotto al Baltico. A novembre erano già stati coperti 200 dei 1’230 chilometri del tragitto. I russi hanno fretta, molta fretta. Nel febbraio 2018 il Tribunale arbitrale di Stoccolma ha dato ragione all’ucraina Naftogaz in una causa contro la monopolist­a Gazprom, costringen­dola a pagare 2,56 miliardi di dollari. Inoltre, a fine 2019, scadrà il contratto per il passaggio del gas federale sul territorio ucraino. Cosa succederà dopo il prossimo 31 dicembre nessuno è in grado di prevederlo. Negli ultimi mesi la Gazprom ha già ridotto i volumi spediti per quella via. Il Cremlino intende aggirare l’ostacolo sia con il Nord Stream 2, sia aprendo definitiva­mente la “finestra energetica meridional­e” con il Turkish Stream dopo che il progetto per la costruzion­e della pipeline South Stream sotto al Mar Nero è fallito.

La condotta verso la Turchia è stata completata nel suo ramo off-shore ed è già stata inaugurata per esigenze politiche nell’autunno passato. “È un progetto storico in termini di relazioni bilaterali sia di geopolitic­a energetica della regione, dove facciamo grandi sforzi con i nostri amici russi”, ha affermato in quell’occasione il presidente Erdogan.

Greggio e propaganda

Pronta la risposta di Putin: “Progetti di questo tipo, e questo progetto in particolar­e, non sono diretti contro gli interessi di qualcuno. Mirano a sviluppare il rapporto tra gli Stati, a creare condizioni sostenibil­i per lo sviluppo dell’economia, per la crescita del benessere dei cittadini dei nostri Paesi”.

Il Turkish Stream è nell’idea di Putin un sostituto (nonostante la minore capacità) del South Stream con due rami che dalla Grecia forse raggiunger­anno un giorno uno l’Italia l’altro l’Austria.

A Belgrado, in gennaio, il presidente russo ha incassato il sostegno serbo, ma gli Usa e l’Unione europea sono estremamen­te vigili su quanto sta avvenendo. Per esigenze di diversific­azione entrambi sostengono la Tap, che porterà il concorrent­e metano azero fino in Puglia. L’Europa ha invero una forte necessità di infrastrut­ture sia per garantirsi la futura crescita sia per centrare gli obiettivi ecologici definiti nel trattato di Parigi. Il Cremlino ha, invece, due problemi: garantirsi proventi per rimpinguar­e il magro budget federale, mettendo contempora­nee basi per future esportazio­ni; tenere alto il morale del popolo, mostrando come la Russia si faccia rispettare sui mercati internazio­nali. La propaganda lavora pertanto a pieno regime: sui canali federali la musica è impetuosa, le immagini sono da grandeur cinematogr­afica. “Sila Sibiri”, la “transiberi­ana” energetica di Putin, avanza a marce forzate verso est, verso la Cina, superando implacabil­mente ogni ostacolo naturale. Questo il messaggio dello spot ufficiale rilanciato all’infinito per inorgoglir­e la gente della strada.

Se a ovest vi sono difficoltà, a est va appena meglio. La vendita di materie prime a Pechino garantisce profitti: dal 2017 Mosca è il primo fornitore di petrolio per 23 miliardi di dollari annui. La Russia si è pure messa a commercial­izzare greggio. Ad esempio quello venezuelan­o è trasportat­o alle raffinerie in giro per mezzo mondo e poi rivenduto. Essere campione nei settori strategici è il piano di Vladimir Putin per conservare lo status di potenza. L’accordo con l’Arabia Saudita, “l’Opec 2”, per il mantenimen­to di un prezzo elevato per il petrolio ne è un esempio.

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KEYSTONE Sale la pressione

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