Pompeo conta le ore di Maduro
Minaccia esplicita del segretario di Stato Usa nei confronti del presidente venezuelano Dopo gli scontri, e i morti, nel tentativo di forzare il blocco dei confini anche Gauidó torna a evocare ‘tutte le opzioni sul tavolo’
Caracas – Nicolas Maduro ha le ore contate. Se a dirlo non è Juan Guaidó, ma Mike Pompeo, la differenza tra una previsione e una minaccia non potrebbe essere più chiara. Il giovane autoproclamato presidente venezuelano, vantando un lusinghiero successo mediatico, più che politico, con scontri alle frontiere con Brasile e Colombia, morti e feriti, ha ripetuto ieri che per detronizzare un Maduro sempre più arroccato “ogni opzione è sul tavolo”. Più sbrigativo, il segretario di Stato Usa ha indicato una dead line ravvicinatissima per il successore di Hugo Chavez. Oggi, le “ore contate” saranno sul tavolo della riunione a Bogotá del gruppo di Lima, presente anche il vicepresidente Usa Mike Pence. Il che rafforza l’ipotesi che Washington abbia fretta di risolvere la pendenza. Tra le accuse a Maduro c’è anche la morte di un oppositore, avvelenato con il cugino (che ha perso la vita) in una circostanza non chiarita in un motel dopo la visita di due donne. Dopo il brutale respingimento degli aiuti umanitari provenienti da Brasile, Colombia e Porto Rico – con un bilancio di almeno quattro morti e decine di feriti – Guaidó ha detto che “gli eventi mi obbligano a prendere una decisione: proporre in modo formale alla comunità internazionale di mantenere tutte le opzioni disponibili per liberare questo Paese, che lotta e continuerà a lottare. Parlerò con Pence”.
Nella capitale colombiana ci saranno rappresentanti del Gruppo di Lima, costituito da 14 Paesi del continente americano (Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Guyana, Honduras, Messico, Panama, Paraguay, Perù e Santa Lucia), ai quali si aggiungerà Pence. Undici di questi Paesi (più gli Usa) hanno già riconosciuto Guaidó come presidente del Venezuela, mentre altri tre (Messico, Guyana e Santa Lucia) non hanno aderito alla dichiarazione comune firmata dal resto del gruppo lo scorso 23 gennaio, dopo l’assunzione dei poteri dell’esecutivo da parte del presidente del parlamento di Caracas.
Da parte sua, però, il ministro degli Esteri spagnolo, Josep Borrel, ha avvertito che “non tutte le opzioni sono sul tavolo”, perché “abbiamo detto chiaramente che non appoggeremmo e condanneremmo fermamente qualsiasi intervento militare straniero, che speriamo non si produca”.
Il governo chavista, infine, ha negato che vi siano stati morti durante gli scontri di sabato, sostenendo che una quarantina di persone sono rimaste ferite a causa di azioni di “criminali colombiani”.