L’anno più sanguinoso per i civili in Afghanistan
New York – Sono più di diecimila le vittime civili (morti e feriti) del conflitto in Afghanistan nel 2018, un migliaio delle quali bambini. Quello presentato dalla Missione di assistenza dell’Onu in Afghanistan (Unama) è il bilancio più pesante dal 2009, e con un numero di vittime cresciuto del 5 per cento rispetto all’anno precedente.
Negli ultimi dieci anni, in Afghanistan, sono morti oltre 32mila civili, quasi il doppio i feriti (in buona parte con gravi mutilazioni). L’incremento del 2018, informa il rapporto, è dovuto a un maggior numero di attacchi suicidi da parte dell’Isis, ma anche a un aumento dei raid aerei della coalizione a guida Usa (forse per la gran fretta di poter dichiarare chiusa la questione e tornare a casa da vincitori).
“Questo è il decimo rapporto dell’Onu a documentare la difficile situazione dei civili nel conflitto afghano. È giunto il momento di porre fine a questa tragedia umana”, ha detto Tadamichi Yamamoto, il capo dell’Unama. Il rapporto è stato illustrato alla vigilia di un nuovo ciclo di negoziati per comporre una situazione di guerra non più, da tempo, “a bassa intensità”. L’inviato speciale degli Stati Uniti Zalmay Khalilzad dovrebbe incontrare oggi il negoziatore dei taleban in Qatar. Fonti dei taleban hanno detto alla Bbc che uno dei fondatori del movimento, Mullah Abdul Ghani Baradar, è in viaggio per Doha e, secondo alcuni analisti, il suo coinvolgimento in ruoli chiavi all’interno dell’organizzazione potrebbero migliorare le possibilità di un accordo. I negoziati di pace hanno preso vigore anche dopo la decisione di Donald Trump, di mettere fine alla missione statunitense in Afghanistan (la guerra più lunga sostenuta dai militari Usa), dove sono tuttora dispiegati quattordicimila soldati.
Un mese fa, Khalilzad aveva annunciato che Washington e i taleban avevano compiuto “progressi significativi” dopo aver raggiunto un accordo quadro negli ultimi negoziati tenutisi sempre in Qatar. Secondo le sue parole, gli integralisti si sarebbero impegnati a garantire un ritiro incruento delle forze statunitensi, e a impedire che l’Afghanistan torni a essere un santuario delle sigle del terrorismo internazionale (uno dei motivi per cui, all’indomani dell’11 settembre, George W. Bush ordinò l’invasione del Paese). Garanzie buone per la propaganda. D’altro canto, i taleban si sono sinora rifiutati di negoziare direttamente con il governo afghano in carica, che considerano un fantoccio dell’Occidente. E nonostante il presunto accordo quadro, non c’è tuttora un’intesa sulla data di ritiro degli Usa o per un cessate il fuoco.