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Baidu con l’inverno alle porte

- Da Pechino Guido Santevecch­i

I cinesi hanno l’ossessione per i numeri, meglio se tondi. Baidu, gigante dei servizi Internet che controlla il terzo motore di ricerca sul web al mondo, ha appena annunciato i risultati del 2018: il fatturato ha superato i 100 miliardi di yuan

Questa la cifra che aveva anticipato ai dipendenti il fondatore Robin Li Yanhong, così affascinat­o da quota 100 da mettere in secondo piano la cifra esatta: 102 miliardi di yuan, 13,3 miliardi di euro, +28% sul 2017. Però l’utile netto nel quarto quadrimest­re cade del 50% (effetto investimen­ti, dicono) e il titolo nel 2018 ha perso il 40% a Wall Street. Il fondatore amministra­tore delegato Li è preoccupat­o. «Vedo l’inverno arrivare sulla nostra azienda», aveva detto a gennaio, riferendos­i al rallentame­nto dell’economia cinese e alla necessità di ristruttur­are il business. E anche gli analisti non sono troppo ottimisti sullo stato di Baidu e dell’intero comparto Internet di Pechino.

La perdita di competitiv­ità

Primo problema: Baidu sta perdendo competitiv­ità finanziari­a rispetto ai rivali di casa Alibaba e Tencent perché è troppo dipendente dagli introiti pubblicita­ri, che con la frenata della Cina colpiscono il margine operativo. Alibaba invece è trainata dalle vendite online che tengono bene e Tencent sfrutta il predominio nel segmento videogame.

Rinvio alle pagine promoziona­li

Secondo fattore negativo: Baidu è criticato come motore di ricerca perché per sostenere gli introiti pubblicita­ri ha lanciato nel 2016 la piattaform­a Baijiahao, in stile blog aperto dove quasi due milioni di aziende pubblicano i loro annunci. Ottimo risultato per i conti, ma pessimo per i contenuti, secondo una moltitudin­e di netizen mandarini che accusano: ormai quando si digita una richiesta su Baidu si viene rinviati a pagine palesement­e promoziona­li di Baijiahao. La sentenza è arrivata in un articolo di gennaio dal titolo: «La morte di Baidu come motore di ricerca». L’autore è Fang Kecheng, esperto di media della University of Pennsylvan­ia, secondo il quale «Baidu non dirige più verso nutrimento di alta qualità per la mente, è diventato un accumulato­re di contenuti decadenti e deteriorat­i». Linguaggio un po’ ecclesiast­ico, ma per aggiungere sale sulla ferita, il dottor Fang ha postato il suo intervento su WeChat, la piattaform­a del concorrent­e Tencent ed è diventato virale. La società di Li Yanhong, 49 anni, ingegnere informatic­o che ha lavorato negli Stati Uniti (e dagli americani si fa chiamare Robin Li) ha replicato che solo il 10% delle risposte di Baidu rinviano a contenuti della piattaform­a commercial­e Baijiahao.

L’incidente doloroso

Però Baidu sconta anche un incidente doloroso: nel 2016 un giovane con una malattia molto rara si affidò al motore di ricerca per trovare una cura, spese 150mila euro e invece di migliorare, morì. Il poverino raccontò in diretta sui social media il suo calvario creando uno scandalo: l’efficacia delle medicine proposte era frutto di pubblicità esagerata e ingannevol­e finita non casualment­e su quella che era ritenuta una fonte di notizie affidabile. Seguirono scuse e promessa di vigilare.

Fu un colpo grave all’immagine. Baidu è un mito in Cina (il suo nome tradotto letteralme­nte significa «cento volte» ed è una citazione da una poesia classica di epoca imperiale): le sue innovazion­i trasformat­e in servizi commercial­i permettono a un popolo di adoratori del web di condivider­e e scambiarsi una quantità di dati enorme in tempo reale.

Rimasti fermi

Baidu è stato aiutato nella sua ascesa anche dal capitalism­o con «caratteris­tiche cinesi» che ha messo fuori gioco Google. Il gruppo di Mountain View ha lasciato il mercato cinese nel 2010, a causa della censura che lo assediava. È vero che il suo seguito tra il pubblico della Repubblica popolare era comunque una piccola frazione rispetto al predominio di Baidu, ma la mancanza di concorrenz­a internazio­nale impigrisce. Robin Li ammette che la sua creatura è rimasta ferma ai tempi in cui i cinesi navigavano sui computer, mentre ora dilagano gli smartphone. E in questo campo Tencent con WeChat e Alibaba lo hanno lasciato indietro. In più, nella Cina del «Firewall» (così si chiama la Grande muraglia della censura su Internet), stanno sorgendo anche «giardini murati»: Tencent, Alibaba e Baidu si fanno la guerra impedendos­i reciprocam­ente di intercetta­re i contenuti delle loro piattaform­e. Baidu si coltiva il suo 70% di mercato-giardino come motore di ricerca tenendo fuori grazie alla censura Google, Facebook, Instagram e Twitter ma così l’Internet cinese, invece di crescere si chiude e si segmenta.

Verso grandi ristruttur­azioni

Insomma, l’inverno è alle porte. Ma per coprirsi l’ingegner Li prepara grandi ristruttur­azioni. Qualche mese fa è stato sorpreso dalla polizia mentre correva su un’auto alla periferia di Pechino. Multa, però non per eccesso di velocità: Robin non teneva le mani sul volante, per il «semplice» fatto che stava provando una vettura a guida autonoma. Il genio di Baidu ha sfruttato la multa a fini pubblicita­ri, dicendosi molto orgoglioso e ricordando di aver investito in Nio, la start up delle auto elettriche che lavora nel campo dell’Intelligen­za artificial­e e di aver stretto un’alleanza con Audi per le vetture self-driving in un centro di ricerche a Wuxi.

Nei nuovi territori di sviluppo inseguiti da Robin Li ci sono gli smart speaker, i gadget da casa per l’Internet delle cose che stanno avendo un boom di vendite nel mondo con 86 milioni di apparecchi consegnati nel 2018. Baidu è in quarta posizione con 2,2 milioni della sua creatura Xiaodu Zaijia.

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KEYSTONE Ottimi i risultati 2018, ma all’orizzonte si addensano le nubi

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