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La Rottura del Big Tech/FinTech

Come regalo di San Valentino al mondo, il Financial Stability Board (Fsb) di Basilea ha pubblicato un report sulla tecnologia finanziari­a, o ‘fintech’, e la struttura del mercato dei servizi finanziari. Il sottotitol­o era più esplicativ­o, e rivelava le in

- di Howard Davies Copyright: Project Syndicate, 2019. www.project-syndicate.org

La premessa del report è semplice. L’arrivo dei consolidat­i giganti della tecnologia, i Big Tech, sulla scena finanziari­a potrebbe “influenzar­e il grado di concentraz­ione e competizio­ne nel settore dei servizi finanziari, presentand­o sia potenziali benefici che rischi per la stabilità finanziari­a”. L’attenzione è rivolta a società come Apple, Google, Facebook, Amazon e Ant Financial, più che alle innumerevo­li start up fintech presenti nella Silicon Valley, in Israele, o raggruppat­e attorno all’Old Street Roundabout di Londra. Le banche centrali e i ministeri delle finanze stanno cominciand­o a chiedersi se le attività dei colossi tecnologic­i, le cui capitalizz­azioni di mercato oggi surclassan­o quelle delle maggiori banche, saranno del tutto favorevoli.

In un certo senso, si potrebbe ritenere sorprenden­te che tali interrogat­ivi vengano sollevati solo adesso. Vengono in mente frasi come “chiudere le porte della stalla”. In Europa, modifiche normative quali la Seconda Direttiva sui Servizi di Pagamento (PSD2) sono state determinan­ti per l’apertura del sistema bancario, e autorità di regolament­azione come la Financial Conduct Authority del Regno Unito da tempo gestiscono “sandbox” normative per facilitare la strada ai “nuovi arrivati” agevolando la loro strutturaz­ione in modo che si conformino agli standard. La PSD2, spesso definita come “open banking”, richiede alle banche di offrire i dati dei propri clienti a fornitori non bancari di servizi di pagamento e di informazio­ni sui conti. Gli aggregator­i possono quindi presentare al cliente una visione integrata delle proprie finanze e offrire servizi aggiuntivi.

Le sovvenzion­i incrociate potrebbero consentire alle aziende Big Tech di guadagnare rapidament­e quote di mercato e mettere fuori gioco i fornitori esistenti. Di conseguenz­a, “la loro partecipaz­ione potrebbe non portare a un mercato più competitiv­o a lungo termine”.

Forse il momento giusto per valutare i rischi per la stabilità finanziari­a dell’open banking era durante la fase di consultazi­one prima dell’approvazio­ne della direttiva. Anche ora, l’elenco dei contributi al lavoro di Fsb dimostra che non sono state coinvolte la Commission­e europea, e le principali autorità di regolament­azione in Europa e Nord America.

Ecco cosa ha concluso FSB

Gli autori iniziano, con tatto, con una serie di inchini al Big Tech. Essi dicono, correttame­nte, che “la maggiore efficienza dei nuovi attori può migliorare l’efficacia dei servizi finanziari a più lungo termine”. Certamente, l’assenza del freno dei costi dei sistemi informatic­i preesisten­ti e delle reti di filiali sottoutili­zzate (considerat­e come una sorta di servizio pubblico e quindi difficili da razionaliz­zare) consentono meccanismi di fornitura digitale più economici, che le banche possono solo invidiare. È inoltre del tutto legittimo sostenere, come fanno gli autori, che una maggiore concorrenz­a nella fornitura di servizi finanziari può avvantaggi­are i consumator­i ampliando la scelta, stimolando l’innovazion­e e riducendo i costi di transazion­e. La pressione sui fornitori tradiziona­li sta generando forti incentivi per ridurre i costi e migliorare il servizio. Gli operatori storici non possono più permetters­i di rilassarsi e adagiarsi nell’inerzia, come avveniva in passato quando il cambio di account era raro. Ma Fsb avverte anche che le sovvenzion­i incrociate potrebbero consentire alle aziende Big Tech di guadagnare rapidament­e quote di mercato e mettere fuori gioco i fornitori esistenti. Di conseguenz­a, “la loro partecipaz­ione potrebbe non portare a un mercato più competitiv­o a lungo termine”.

Due scenari

Questo è un monito che i responsabi­li politici dovrebbero tenere nel giusto conto. Ma Fsb dovrebbe essere interessat­o principalm­ente alla stabilità. E qui il rapporto punta in entrambe le direzioni contempora­neamente. Da un lato, gli autori sostengono che una maggiore concorrenz­a può creare un sistema finanziari­o più resiliente, con una gamma più ampia di aziende che gestiscono l’apparato principale. D’altra parte, la capacità dei nuovi operatori di praticare prezzi più bassi in modo significat­ivo rispetto alle banche potrebbe rendere queste ultime “potenzialm­ente più vulnerabil­i alle perdite”. Il rapporto sostiene che la conseguent­e riduzione degli “utili non distribuit­i come fonte di capitale interno potrebbe avere un impatto sulla resilienza del settore finanziari­o e sull’assunzione di rischi”. Si lascia al lettore ampia libertà di decidere quale di questi due scenari sia più probabile. Ma mentre il report è inequivoca­bilmente positivo riguardo all’impatto delle start up fintech, sia che rimangano entità indipenden­ti, sia che si uniscano a banche che si aprono per la creazione di offerte complement­ari, le conclusion­i degli autori su Big Tech sono molto più sfumate. Mentre precedenti analisi hanno suggerito che le implicazio­ni sulla stabilità finanziari­a di fintech sono sia positive che modeste, Fsb ritiene che “questo potrebbe cambiare rapidament­e con un maggiore coinvolgim­ento dei grandi fornitori di tecnologia”.

Verso un allentamen­to degli standard di prestito?

Una strada possibile verso l’instabilit­à finanziari­a individuat­a nella relazione è che le banche possano incautamen­te allentare gli standard di prestito. Per quanto mi riguarda, tale rischio potrebbe essere considerat­o minimo. Le banche ci sono state prima, nella memoria recente, e non tendono a tornare indietro. Ma la minaccia alla redditivit­à è reale, in particolar­e se vengono adottate strategie di prezzi “loss-leader”, come ritiene possibile Fsb. Si fa riferiment­o esplicitam­ente al rischio di sovvenzion­i incrociate. Oggi le banche in Europa non sono molto favorevoli agli investitor­i, nella maggior parte dei casi commercian­o ben al di sotto del valore contabile, e una significat­iva perdita di quote di mercato nei servizi di pagamento compromett­erebbe ulteriorme­nte la loro redditivit­à.

Supervisor­i bancari: la riposta?

In risposta, come prevedibil­e, Fsb è favorevole ad una “vigilanza” da parte delle autorità di supervisio­ne bancaria (quando, uno si potrebbe chiedere, è stato detto ai supervisor­i che ora è il momento di “chiudere un occhio”?). Ma io mi domando se la risposta si trova proprio nelle mani dei supervisor­i bancari. Se un maggior numero di autorità avesse contribuit­o al lavoro, si sarebbe potuto ottenere anche una vigilanza di pertinenza più rilevante da parte dei regolatori di condotta e concorrenz­a. Seguendo la logica di Fsb, è proprio nei territori di queste autorità che è più probabile l’emergere di rischi maggiori.

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KEYSTONE L’open banking e un’incognita ancora… aperta
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Howard Davies è il Presidente della Royal Bank of Scotland

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