L’antico vissuto dei nostri rustici ritratto da Müller
A lasciarli sfilare uno dopo l’altro, quanto pubblicato da Dario Müller nel bel volume “I nostri rustici. Architettura dell’essenziale”, edito da Dadò (2018) potrebbe sembrare una sorta di censimento di ben novanta rustici distribuiti sul nostro territorio; e invece no: prima di ogni altra cosa, quella è una storia di incontri. Di incontri distribuiti nel tempo, più di 40 anni, a partire dall’estate del 1976, quando – come racconta – ha fatto “il suo primo abbozzo di un cascinale incontrato sui sentieri di Vaglio, in Capriasca.” Si noti il verbo; dice proprio: “ho incontrato”: quell’incontro deve aver smosso qualcosa di profondo dentro di lui, portandolo indietro nel tempo: a quella civiltà rurale del Ticino che, per millenni, costituì la base socio-economica di questa nostra terra. E che da decenni, con l’avvento di tutt’altra realtà economica, quella del terziario, e il conseguente spopolamento delle valli rischia il definitivo abbandono.
Da quel giorno, lui, munito di carta e di penna ad inchiostro, quei rustici è andato a cercarli un po’ dappertutto: camminando per sbricchi e pendii fuori mano, lungo declivi o crinali ormai fagocitati dal bosco, sulla scia di immaginari sentieri ormai scomparsi, finché ha potuto sedersi davanti a loro. Ma chi siede e disegna – per ore – quei poveri manufatti e ne legge la storia incarnata nelle pietre sconnesse, nelle flessioni del tetto, nel progressivo cedimento delle strutture… costui ne sente anche l’anima, il respiro del tempo e di un antico vissuto. A saperle ascoltare, quelle pietre raccontano storie infinite di piccoli passi e di povera gente pressata da tribolazioni quotidiane, che si spostava dal piano all’alpe, secondo il ritmo delle stagioni e le necessità di trovare nuovi pascoli.
Pregio dei disegni di Dario Müller e di andar oltre il dato referenziale o meramente descrittivo; non lo tradiscono, ma vanno anche oltre perché portano con sé quel carico di verità, di vicinanza e di rispetto per questo “patrimonio emarginato e progressivamente dimenticato”, non di rado cancellato o manomesso, che documenta la storia di un popolo: di ieri e di oggi. Da qui i due saggi che accompagnano i disegni: l’uno di Mario Donati, dal taglio storico e sociologico, che, guardando indietro, ricostruisce modalità di vita e sopravvivenza in questi rustici; l’altro dell’architetto Benedetto Antonini che entra nel presente e si proietta nel futuro, tra necessità di conservazione e trasformazione: perché conservare vuol dire trasformare, ma come e fino a che punto? Un tema attualissimo e molto dibattuto, ma che ci concerne tutti.