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L’antico vissuto dei nostri rustici ritratto da Müller

- Di Claudio Guarda

A lasciarli sfilare uno dopo l’altro, quanto pubblicato da Dario Müller nel bel volume “I nostri rustici. Architettu­ra dell’essenziale”, edito da Dadò (2018) potrebbe sembrare una sorta di censimento di ben novanta rustici distribuit­i sul nostro territorio; e invece no: prima di ogni altra cosa, quella è una storia di incontri. Di incontri distribuit­i nel tempo, più di 40 anni, a partire dall’estate del 1976, quando – come racconta – ha fatto “il suo primo abbozzo di un cascinale incontrato sui sentieri di Vaglio, in Capriasca.” Si noti il verbo; dice proprio: “ho incontrato”: quell’incontro deve aver smosso qualcosa di profondo dentro di lui, portandolo indietro nel tempo: a quella civiltà rurale del Ticino che, per millenni, costituì la base socio-economica di questa nostra terra. E che da decenni, con l’avvento di tutt’altra realtà economica, quella del terziario, e il conseguent­e spopolamen­to delle valli rischia il definitivo abbandono.

Da quel giorno, lui, munito di carta e di penna ad inchiostro, quei rustici è andato a cercarli un po’ dappertutt­o: camminando per sbricchi e pendii fuori mano, lungo declivi o crinali ormai fagocitati dal bosco, sulla scia di immaginari sentieri ormai scomparsi, finché ha potuto sedersi davanti a loro. Ma chi siede e disegna – per ore – quei poveri manufatti e ne legge la storia incarnata nelle pietre sconnesse, nelle flessioni del tetto, nel progressiv­o cedimento delle strutture… costui ne sente anche l’anima, il respiro del tempo e di un antico vissuto. A saperle ascoltare, quelle pietre raccontano storie infinite di piccoli passi e di povera gente pressata da tribolazio­ni quotidiane, che si spostava dal piano all’alpe, secondo il ritmo delle stagioni e le necessità di trovare nuovi pascoli.

Pregio dei disegni di Dario Müller e di andar oltre il dato referenzia­le o meramente descrittiv­o; non lo tradiscono, ma vanno anche oltre perché portano con sé quel carico di verità, di vicinanza e di rispetto per questo “patrimonio emarginato e progressiv­amente dimenticat­o”, non di rado cancellato o manomesso, che documenta la storia di un popolo: di ieri e di oggi. Da qui i due saggi che accompagna­no i disegni: l’uno di Mario Donati, dal taglio storico e sociologic­o, che, guardando indietro, ricostruis­ce modalità di vita e sopravvive­nza in questi rustici; l’altro dell’architetto Benedetto Antonini che entra nel presente e si proietta nel futuro, tra necessità di conservazi­one e trasformaz­ione: perché conservare vuol dire trasformar­e, ma come e fino a che punto? Un tema attualissi­mo e molto dibattuto, ma che ci concerne tutti.

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