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‘Ci va bene: hanno già pagato’

Recluta locarnese vessata a Emmen, la reazione del papà al ‘non luogo’ del giudice militare Il genitore della vittima: ‘Soddisfatt­i, perché sanzioni c’erano state ed erano state scontate. Bene anche per la replica dell’Esercito, che aveva reagito nel segn

- Di Davide Martinoni

I familiari della recluta ticinese vessata a Emmen commentano il ‘non luogo a procedere’ deciso dal giudice militare nei confronti dei sottuffici­ali che avevano ordinato la ‘sassaiola’.

«Accettare il “non luogo a procedere” non significa approvare un presunto scagioname­nto dei sottuffici­ali responsabi­li. Quel che hanno fatto è stato riconosciu­to e i principali responsabi­li lo hanno pagato con alcuni giorni di carcere (3 e 5, ndr) scontati dopo la Scuola reclute. A noi può anche andar bene così». È la reazione del padre della recluta locarnese colpita da una gragnuola di noci a Emmen (il 14 settembre dell’anno scorso, nell’ambito della Scuola reclute della Difesa contraerea 33) alla decisione del giudice istruttore militare di interrompe­re la procedura e non infliggere ulteriori sanzioni. «Il punto è proprio questo – considera il papà –: il giudice istruttore sostiene che “nessuna ulteriore conseguenz­a sarà data al caso”. “Ulteriore” significa che precedente­mente delle sanzioni erano già state inflitte. Non parliamo quindi di un’assoluzion­e, ma sempliceme­nte di una decisione di limitarsi a quella prima punizione». Il caso del 24enne ticinese aveva colpito l’opinione pubblica e generato una serie di reazioni sia a livello politico, sia all’interno dell’Esercito, fino ai suoi vertici: il capo dell’armata svizzera Philippe Rebord si era esposto in prima persona visitando il ragazzo e confrontan­dosi anche con il papà. «Una dimostrazi­one – per il padre della recluta – che la questione era stata presa molto seriamente. Dal nostro punto di vista è stato soprattutt­o importante che sia stata promossa la massima trasparenz­a».

‘Nella lettera alle Scuole reclute anche un giusto accenno all’uso dei social media’

A stretto giro di posta rispetto alla denuncia del ragazzo in merito al trattament­o subito dai sottuffici­ali e dai commiliton­i che avevano partecipat­o al tiro al bersaglio, infatti, «v’era stata una reazione che definirei veemente. A tutti i responsabi­li delle Scuole reclute della Svizzera era stata inviata una lettera di sensibiliz­zazione. Vi si leggeva di prestare la massima attenzione a casi simili e di fare di tutto per prevenirli, tramite un attento monitoragg­io di quanto accade in “grigioverd­e”». Un altro punto sensibile della circolare, aggiunge, «era l’accento messo sulla circolazio­ne indiscrimi­nata delle informazio­ni sui “social”, che come sappiamo possono trasformar­si in potentissi­me armi di pressione. Non è un caso che il video del “finto plotone” che aveva preso di mira mio figlio fosse finito su Facebook». A questo proposito il nostro interlocut­ore, che occupa un posto di responsabi­lità in una scuola media del Locarne-

se, rileva che «quello dei social è effettivam­ente un problema molto serio, che dev’essere assolutame­nte affrontato. Noi come istituto, ad esempio, organizzia­mo a favore degli allievi un percorso di 4 anni con l’ausilio di “attori” esterni che aiutino a capire il potenziale

della rete e soprattutt­o come essa debba o non debba essere utilizzata». Tornando ai fatti di Emmen, «grande soddisfazi­one» viene poi espressa per «la dimostrazi­one di sensibilit­à del capo dell’Esercito, che prima aveva testimonia­to il suo appoggio a mio figlio, andandolo a trovare, poi con il sottoscrit­to, esprimendo totale disaccordo per un comportame­nto – ovviamente riferendos­i a quello degli altri militi e dei sottuffici­ali – che aveva giudicato sconsidera­to».

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Un fotogramma del filmato pubblicato in rete dopo il fattaccio

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