laRegione

Ma quale ingiustizi­a, la gavetta fa crescere

- Di Mec

Il rifiuto di Sebastiano Cavadini a entrare in campo, non è un unicum, nel basket e in altri sport. Se fosse un profession­ista, verrebbero adottate sanzioni; ma la questione non sta tanto nella punizione, quanto in un’analisi dei fattori globali. Se un 18enne non capisce che tutti – nel basket ma non solo, e non importa se in Nba o in un altro campionato – sono passati da ore e ore in panchina, allora c’è qualcosa di sbagliato nelle sue scelte. La crescita tecnica e agonistica di un giovane passa logicament­e dalla panchina, perché nessuno, o quasi, ha le qualità per esigere un certo minutaggio. La vita del giovane sportivo richiede grandi sforzi, che possono portare un giorno a giocare ai massimi livelli: presenza incondizio­nata agli allenament­i, sacrificio del proprio tempo libero, rinunce anche importanti sul piano privato, dare sempre il massimo per la squadra e per se stesso ogni volta che si va in campo. Bisogna dimostrare questo attaccamen­to ai compagni, e il rispetto per il coach e le sue scelte. Non ho mai visto allenatori che rinunciano a bravi giocatori per qualche sfizio personale, anzi: ogni coach è felice di mettere in campo giovani cresciuti sotto le proprie cure; soprattutt­o in Svizzera, dove ragazzi con la costanza di andare avanti sono sempre meno. Lo si nota anche in Ticino dove si sono visti giocatori con grandi potenziali­tà, via via abbandonar­e prima dei vent’anni. Vuoi perché non hanno avuto la giusta mentalità per portare avanti la loro scelta giovanile, vuoi perché hanno proseguito gli studi fuori cantone. Se questi ultimi hanno privilegia­to la formazione, è perché erano e sono consapevol­i che con il basket non avranno mai la “pagnotta” garantita. Chi invece lascia perché non più disposto ad accettare le regole del gruppo o dell’allenatore; oppure, più sempliceme­nte, non vuole più sacrificar­e il tempo libero, è un’altra categoria. La scelta va accettata, ovviamente; ma in questo modo il basket ticinese ha perso un buon numero di talenti. Rifiutarsi di entrare in campo va contro a qualsiasi logica di squadra: mostra mancanza di rispetto per le scelte del coach, oltre a un grande egocentris­mo. Crediamo che tutto possa essere ricucito, soprattutt­o se Sebastiano tiene a questo sport, ama la sua squadra e vuole riuscire; purché ci siano le debite scuse a tutti. Fare errori di valutazion­e, lasciare che sia la rabbia a decidere, può succedere. L’importante è riconoscer­e i propri errori e capire che, giocoforza, la crescita passa attraverso un percorso lungo. Non si diventa bravi in poco tempo. A meno di chiamarsi Curry, Jordan e pochi altri, la gavetta è parte essenziale nello sviluppo di qualsiasi giocatore.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland