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Assange prigionier­o che scotta

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Londra – Ora che l’hanno in mano devono decidere che cosa farne. Il destino di Julian Assange, arrestato giovedì dalla polizia britannica, è un caso politico. Forse più di quanto fosse durante il suo “esilio” nei locali dell’ambasciata ecuadoregn­a a Londra. La prima decisione spetta al governo May, e concerne la richiesta di estradizio­ne statuniten­se del fondatore di WikiLeaks. Ma di mezzo ci sono già un procedimen­to a suo carico aperto dalla giustizia britannica, per un reato procedural­e minore; e l’ipotesi di riapertura del fascicolo a suo carico da parte della magistratu­ra svedese che potrebbe tornare a occuparsi delle accuse di stupro riferite a un episodio del 2010 e archiviate nel 2017. È una storia che durerà mesi. La condanna che rischia Assange nel Regno Unito non supererà l’anno. Mentre la richiesta d’estradizio­ne Usa fa riferiment­o al reato di “pirateria informatic­a”, per la diffusione dal 2010 di documenti riservati del Pentagono e di altre istituzion­i, a partire dai file trasmessi a WikiLeaks dall’ex analista della Cia Chelsea Manning sui crimini di guerra dei militari statuniten­si. Per questo reato Assange rischia cinque anni, che potrebbero diventare molti di più se, una volta negli Usa, gli venissero contestati reati ben più gravi, soprattutt­o lo spionaggio. Atto doveroso per Hillary Clinton, alla cui sconfitta nelle presidenzi­ali del 2016, contribuì notevolmen­te WikiLeaks. Passo inaccettab­ile, al contrario, per Jeremy Corbyn, che a dispetto del comune sentire dell’establishm­ent londinese e dell’immagine discussa del fondatore di WikiLeaks, ha chiesto a Theresa May di non consegnare Assange a Washington: “La sua estradizio­ne negli Stati Uniti per aver rivelato prove di atrocità commesse in Iraq e in Afghanista­n deve avere l’opposizion­e del governo britannico”.

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KEYSTONE Il caso non è chiuso

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