Vi racconto i miei giganti
I giganti, a incontrarli di persona, spesso risultano un po’ più piccoli di quel che si credeva. È l’inevitabile controindicazione di ogni incontro con un modello, anche letterario: ci vai certo di aver conosciuto un tale, nel modo più parziale ma più profondo, attraverso un libro a cui ha dedicato mesi e anni, e ti trovi davanti un essere umano, consegnato per un’oretta alla tua attenzione, fra un ringraziamento e un aperitivo. Qualcuno, giovedì sera al PalaCinema a Locarno, ci ha confidato la sua delusione al termine dell’incontro con David Grossman che ha aperto gli Eventi Letterari. Qualcun altro, invece, si è detto colpito dalla forza della sua voce, dall’umanità e dall’ironia che vi ha sentito vibrare. Sarà che assistere a conversazioni di questo genere è un po’ come fare il formaggio: ci vuole una sana, attiva, disponibilità a scartare il superfluo e il superficiale, per tirare a galla qualcosa di consistente. Per quanto ci riguarda, nel caso di Grossman il primo regalo non è stato Grossman, ma il suo “gigante” del cuore, Bruno Schulz, scrittore polacco ucciso da un idiota nazista nel 1942, del quale Laura Morante ha letto in modo splendido un racconto meraviglioso, ‘Gli uccelli’, dalla raccolta ‘Le botteghe color cannella’ (se vi interessa una letteratura visionaria, potente, carica di una struggente grottesca forza vitale, allora precipitatevi a comprarlo). Si è iniziato con i giganti selezionati da Grossman, Schulz e Primo Levi, perché questo è il tema degli Eventi di quest’anno, felicemente affidati alla direzione di Paolo Di Stefano: ‘Sulle spalle dei giganti’. Se ci sono dei giganti, gli scrittori del passato che hanno contribuito a modellare la nostra cultura, ci sono anche dei nani, noi, che possono restare tali oppure arrampicarsi sulle loro spalle, per vedere un po’ più lontano. Come detto da Di Stefano, gli Eventi sono consacrati quest’anno all’idea «multipla dell’ammirazione, della gratitudine e del confronto responsabile con i classici come motori del mondo e della conoscenza, in un’epoca a cui non piace né ammirare né dire grazie, in un mondo che, con l’illusione che tutto si esaurisca in un inebriante presente, evita di misurarsi, anche in modo conflittuale, con l’esperienza dei padri e delle madri».
Storie come libertà o come gabbia
Parlando di giganti con Edoardo Vigna, del Corriere della Sera, Grossman ha aperto uno spiraglio sul suo universo di scrittore, e sulla sua ironia. «In Israele – ha detto – spesso le persone ti fermano e ti chiedono chi ti ha influenzato o da chi hai rubato». Finché un giorno, un personaggio influente gli ha detto che lui era di certo stato ispirato da Bruno Schulz. Visto che suonava come un complimento, Grossman si è detto d’accordo. Poi lo ha letto, Schulz, «scoprendo un fratello maggiore: anche se i suoi personaggi sono di fantasia, c’è in essi qualcosa di profondamente vero, ogni suo paragrafo è un concentrato di vita, trasuda colori, incubi, realtà, senso dell’umorismo e del grottesco... Così un giorno mi sono detto che avrei cercato di scrivere un libro con almeno un millesimo della vitalità, dei colori, della passione che si trovano nella scrittura di Bruno Schulz». E Primo Levi? «Mi ha insegnato a scrivere con la sua naturalezza, la capacità di osservare la realtà alla giusta distanza, profondamente emozionante senza alcun sentimentalismo». È, quella scorta da Grossman, l’umanità di uno sguardo capace di curare, di riscattare la dignità di ogni essere umano ferito, umiliato, negato in ciò che ha di più autentico. Infine, le storie, che allo sguardo di un narratore come Grossman rivelano tutta la loro ambivalenza, sul crinale fra esperienza personale e trasfigurazione letteraria. «Vi è una potenza misteriosa nelle storie, ma spesso noi diventiamo prigionieri della nostra storia, che ci condiziona e ci soffoca. Essere se stessi a volte è doloroso, dunque ci confiniamo in questa condizione parallela, sappiamo cosa dirci e cosa fare per evitarci, per sfuggire la verità su di noi. Ma arriva il momento di dire addio alle nostre ‘storie ufficiali’». O almeno di riscriverle. Anche per questo lui è diventato scrittore.