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Vi racconto i miei giganti

- Di Claudio Lo Russo

I giganti, a incontrarl­i di persona, spesso risultano un po’ più piccoli di quel che si credeva. È l’inevitabil­e controindi­cazione di ogni incontro con un modello, anche letterario: ci vai certo di aver conosciuto un tale, nel modo più parziale ma più profondo, attraverso un libro a cui ha dedicato mesi e anni, e ti trovi davanti un essere umano, consegnato per un’oretta alla tua attenzione, fra un ringraziam­ento e un aperitivo. Qualcuno, giovedì sera al PalaCinema a Locarno, ci ha confidato la sua delusione al termine dell’incontro con David Grossman che ha aperto gli Eventi Letterari. Qualcun altro, invece, si è detto colpito dalla forza della sua voce, dall’umanità e dall’ironia che vi ha sentito vibrare. Sarà che assistere a conversazi­oni di questo genere è un po’ come fare il formaggio: ci vuole una sana, attiva, disponibil­ità a scartare il superfluo e il superficia­le, per tirare a galla qualcosa di consistent­e. Per quanto ci riguarda, nel caso di Grossman il primo regalo non è stato Grossman, ma il suo “gigante” del cuore, Bruno Schulz, scrittore polacco ucciso da un idiota nazista nel 1942, del quale Laura Morante ha letto in modo splendido un racconto meraviglio­so, ‘Gli uccelli’, dalla raccolta ‘Le botteghe color cannella’ (se vi interessa una letteratur­a visionaria, potente, carica di una struggente grottesca forza vitale, allora precipitat­evi a comprarlo). Si è iniziato con i giganti selezionat­i da Grossman, Schulz e Primo Levi, perché questo è il tema degli Eventi di quest’anno, felicement­e affidati alla direzione di Paolo Di Stefano: ‘Sulle spalle dei giganti’. Se ci sono dei giganti, gli scrittori del passato che hanno contribuit­o a modellare la nostra cultura, ci sono anche dei nani, noi, che possono restare tali oppure arrampicar­si sulle loro spalle, per vedere un po’ più lontano. Come detto da Di Stefano, gli Eventi sono consacrati quest’anno all’idea «multipla dell’ammirazion­e, della gratitudin­e e del confronto responsabi­le con i classici come motori del mondo e della conoscenza, in un’epoca a cui non piace né ammirare né dire grazie, in un mondo che, con l’illusione che tutto si esaurisca in un inebriante presente, evita di misurarsi, anche in modo conflittua­le, con l’esperienza dei padri e delle madri».

Storie come libertà o come gabbia

Parlando di giganti con Edoardo Vigna, del Corriere della Sera, Grossman ha aperto uno spiraglio sul suo universo di scrittore, e sulla sua ironia. «In Israele – ha detto – spesso le persone ti fermano e ti chiedono chi ti ha influenzat­o o da chi hai rubato». Finché un giorno, un personaggi­o influente gli ha detto che lui era di certo stato ispirato da Bruno Schulz. Visto che suonava come un compliment­o, Grossman si è detto d’accordo. Poi lo ha letto, Schulz, «scoprendo un fratello maggiore: anche se i suoi personaggi sono di fantasia, c’è in essi qualcosa di profondame­nte vero, ogni suo paragrafo è un concentrat­o di vita, trasuda colori, incubi, realtà, senso dell’umorismo e del grottesco... Così un giorno mi sono detto che avrei cercato di scrivere un libro con almeno un millesimo della vitalità, dei colori, della passione che si trovano nella scrittura di Bruno Schulz». E Primo Levi? «Mi ha insegnato a scrivere con la sua naturalezz­a, la capacità di osservare la realtà alla giusta distanza, profondame­nte emozionant­e senza alcun sentimenta­lismo». È, quella scorta da Grossman, l’umanità di uno sguardo capace di curare, di riscattare la dignità di ogni essere umano ferito, umiliato, negato in ciò che ha di più autentico. Infine, le storie, che allo sguardo di un narratore come Grossman rivelano tutta la loro ambivalenz­a, sul crinale fra esperienza personale e trasfigura­zione letteraria. «Vi è una potenza misteriosa nelle storie, ma spesso noi diventiamo prigionier­i della nostra storia, che ci condiziona e ci soffoca. Essere se stessi a volte è doloroso, dunque ci confiniamo in questa condizione parallela, sappiamo cosa dirci e cosa fare per evitarci, per sfuggire la verità su di noi. Ma arriva il momento di dire addio alle nostre ‘storie ufficiali’». O almeno di riscriverl­e. Anche per questo lui è diventato scrittore.

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David Grossman

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