‘Così rilancerò Google Cloud’
Thomas Kurian ha il sorriso aperto dentro un viso di indiano del Kerala. Modi gentili, capelli brizzolati e la capacità di praticare l’arte della gentilezza con chiunque.
Tutti qui a San Francisco sanno che è nel ruolo più delicato dell’intero mondo di Google. Mountain View è abituata a far funzionare bene le cose: i 148 prodotti e progetti abbandonati perché non riusciti o sconfitti dalla concorrenza hanno l’attenzione del mondo e un sito a loro dedicato (provare su killedbygoogle.com). Kurian è arrivato da Oracle tre mesi fa per rilanciare Google Cloud, la piattaforma con cui Mountain View cerca di sviluppare un altro business, essendo quello principale ancora troppo concentrato sulla pubblicità. Nata solo due anni fa sotto la guida di Diane Greene, la nuova creatura di Google non riesce a decollare in un campo altamente competitivo. Ha meno del 9% del mercato: lontanissima dalla leader Amazon (Aws) e Microsoft (Azure), da tempo ormai nel settore. Nell’ultimo trimestre, per dire, Google cloud ha fatturato un miliardo; Amazon sette.
La missione: limare le distanze
Kurian deve quindi limare le distanze. Lui lo sa e sta al gioco mentre passeggia all’interno dell’immenso Moscone Center di San Francisco, sede della convention Next19, oltre trentamila partecipanti. «Vede – dice a L’Economia del Corriere nella sua prima uscita pubblica da quando ha preso la carica di Ceo, nel gennaio scorso – io non penso che per competere si debba distruggere l’ecosistema nel quale si vive, anzi: si deve allargare in modo che sempre più persone possano utilizzarlo al meglio. Le ricerche che abbiamo fatto – continua Kurian – ci dicono che l’88% delle aziende nei prossimi anni investirà di più nella cloud. Vogliamo esserci». Questo allargare, fuori dal politicamente corretto, significa la nascita di Anthos, un nuovo prodotto che ha il compito di implementare Google Cloud nei propri data center (cloud ibrido), ma offre anche la flessibilità necessaria per gestire carichi di lavoro nei data center di terze parti (multi-cloud) senza apportare modifiche. È la soluzione per quelle aziende che non vogliono cambiare il fornitore di servizi in cloud, ma vedono convenienze nel finire sotto il cappello di Google. Il vantaggio è quello di gestire da un’unica dashboard e con un’unica tecnologia tutti i servizi. Lo svantaggio, finora oscuro, è legato al prezzo e a come le varie interfacce comunicheranno.
Ci credono le grosse aziende
Per ora ci credono le grosse aziende. «A livello globale, se si guardano le 10 più grandi aziende in ogni settore, nove media company, sette retailer, sei multinazionali dell’energia e utility, cinque delle prime 10 banche e società di telecomunicazioni, tutte utilizzano Google Cloud come elemento della loro trasformazione aziendale», dice con orgoglio Kurian. E fa degli esempi di possibili scenari di un intero settore. «La sanità: ovvero la possibilità di immagazzinare un poderoso numero di dati di un paziente per rendere più facile diagnosi e prevenzione – spiega convinto –. Ma anche le telecomunicazioni, la pubblica amministrazione, il campo delle spedizioni». C’è il caso di Ups, nuovo cliente della cloud scelta perché capace di processare il miliardo di dati che tutti i giorni macina il colosso delle spedizioni: dal
peso, alla larghezza, dalla forma al destinatario di un collo, tutto finisce immediatamente a portata di data analyst.
La scommessa: il retail
Ma il settore verticale sul quale Google ha deciso di puntare è quello del retail con un approccio più vicino al venditore, che sia un singolo negozio o l’Ikea, altro cliente appena annunciato. Sapere le scorte di magazzino o le vendite per ciascun punto in tempo reale aiuta decisioni e programmazione. Per essere più vicino al cliente, Kurian ha annunciato «una serie di assunzioni nella forza vendite. I clienti vogliono un affiancamento più stretto, un’attenzione maggiore che non può essere gestita solo dai robot». Quindi Google assume, sperando che questo basti a ridurre le distanze dai competitor e a tenerle nei confronti di società più piccole e per questo più duttili, per esempio IBM e Oracle, che Kurian conosce molto bene essendoci stato 22 anni. «Google può essere vittima del proprio successo, del motore di ricerca. A volte le persone guardano a chi ha agito in un ruolo e pensano sia l’unica cosa che sa fare. Dobbiamo cambiare questa percezione», dice mentre passeggia tra gli stand.
Puntare molto anche sulla sicurezza
Per conquistare clienti, oltre ai vari servizi che Google mette in campo dalla Gsuite (cioè i vari documenti, mail e fogli di calcolo, condivisi) ai server, al riconoscimento facciale e geografico per le foto (il New York Times sta digitalizzando così l’intero archivio fotografico), Kurian punta molto sulla sicurezza. «I dati in cloud sono i dati del cliente, non di Google. Non li conosciamo, non li venderemo mai. E non esistono backdoor nei confronti di nessuno. Nemmeno del governo degli Stati Uniti». Forse per darne una rappresentazione anche fisica, i server della Cloud sono in 20 diverse località, tutte differenti rispetto a quelle di Google. Per tenere separati – anche se solo plasticamente – clienti e advertising. Sundar Pichai, Ceo dell’intera Google, è di origine indiana pure lui, Tamil. In comune con Kurian ha la provenienza e la determinazione. Non sarà facile, nel campo del cloud computing. Ma il Cio di Cisco, complimentandosi con Kurian, gli ha sussurrato: «State cambiando l’intero settore». E lui si è allargato nel suo solito e contagioso sorriso, in silenzio. Per ora non serve aggiungere altro.