Italia, naufragate le premesse per un ‘bellissimo 2019’
Dopo aver bollato come «apocalittiche», «scandalose», «catastrofiste» e, più recentemente, da «gufi» le previsioni che di volta in volta la Ue, il Fondo Monetario, Standard & Poor’s, Fitch, Confindustria, Banca d’Italia, l’Ocse e persino la Corte dei Conti elaboravano sull’economia italiana, Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno dovuto alla fine ricredersi: il Pil crescerà dello 0,2% quest’anno, come avevano stimato a febbraio i «burocrati» di Bruxelles, e non dell’1% come s’era detto a dicembre; e molto meno di quell’1,5% che con baldanza s’era prospettato in autunno. Di conseguenza, anche il rapporto tra deficit e Pil salirà al 2,4%, livello che, fin da ottobre, aveva duramente contestato la Commissione europea. E, ovviamente, continuerà ad aumentare il nostro stock di debito pubblico. Le «premesse per un bellissimo 2019», che il premier Giuseppe Conte, ancora a febbraio, diceva di vedere, sono miseramente naufragate. I mercati, tuttavia, non hanno fatto una piega. Martedì, all’annuncio della nuova revisione del Def, Piazza Affari ha perso qualche decimale (in sintonia, però, con le altre borse, inclusa Wall Street), ma lo spread s’è addirittura ridotto di qualche centesimo. I mercati se ne son «fatti una ragione», verrebbe da dire, parafrasando le incaute parole di Salvini pronunciate il 28 settembre. Sta di fatto che lo spread a 260, rimane ben sotto i picchi d’autunno (oltre 320 punti) e l’indice FtMib ha guadagnato il 20% (come l’S&P500) dal minimo relativo del 27 dicembre e ha rivisto i livelli di 8 mesi fa. Si direbbe che borsa e Btp siano diventati refrattari alle brutte notizie, oppure che tutto sia già stato scontato: se non fosse che, da qualche settimana, un po’ su tutti i mercati mondiali, gli investitori si sono messi in testa l’idea di una nuova ripresa economica globale che partirebbe dalla Cina. Sono bastati un po’ di indici manifatturieri migliori del previsto e sopra la soglia che segnala espansione a far credere che la temuta stagnazione cinese fosse ormai alle spalle. Non solo è tornato a crescere il settore manifatturiero (indice Markit a 50,5), ma è volato quello dei servizi balzando a 54,5, pressoché ai livelli del gennaio 2018.
‘Grazie alla Cina il mondo ha evitato una recessione’
Se Bank of America dice di vedere finalmente «luce in fondo al tunnel», grazie agli stimoli fiscali e monetari propiziati dal governo di Pechino e dalla Banca del popolo, si sprecano le immagini di «freschi germogli» spuntati un po’ ovunque. Persino il compassato Wall Street Journal sostiene, con una certa enfasi, che grazie alla Cina il «mondo ha evitato la recessione». È la Cina a «guidare i cicli economici mondiali, – afferma BofA – gli Stati Uniti vengono appena dopo e l’Europa segue a distanza». La Cina è al centro della catena del valore ed è il principale importatore di materie prime. Non solo è «il più grande esportatore, dopo l’area euro, – prosegue BofA – ma è anche il terzo maggior importatore di beni intermedi e finali». Se l’economia cinese è in salute, tutti ne beneficiano è il messaggio. In particolare l’Eurozona e in primo luogo la Germania, l’Olanda e l’Irlanda, osserva BofA, sottovalutando il ruolo dell’Italia che, nella catena del valore in Europa, è l’anello più importante con la Germania. Ed ecco che qualche pallido germoglio sembra spuntare anche nell’area euro, dove il settore manifatturiero ha (forse) cessato di peggiorare, ma quello dei servizi pare dare segni di un deciso risveglio: persino in Italia dove l’indice Pmi è salito a 53,1 (dal precedente 50,4), riportando sopra la soglia dei 50 punti l’indicatore composito. Per Giuseppe Sersale di Anthilia, «la tenuta del settore servizi è di buon auspicio per un ritorno alla crescita nel secondo semestre». Se il risveglio cinese dovesse rivelarsi non occasionale, conclude BofA senza troppo entusiasmo, è lecito stimare una «crescita migliore in tutta l’area euro nella seconda metà dell’anno». I mercati, tutti i mercati, dopo essersi entusiasmati per le politiche monetarie ritornate (perpetuamente?) espansive, stanno ora anticipando tutto il buono possibile in economia e Wall Street s’è pure convinta che la revisione al ribasso sulle stime di utili societari sia andata oltre il dovuto. A fronte del ritrovato generale ottimismo, contrastano i mediocri flussi d’investimento dai fondi, come li computa BofA: di poco positivi in America e sempre pesantemente negativi in Europa, per l’ottava settimana di fila o, se si preferisce, per 54 settimane sulle ultime 56. Eppure, qualcuno sta comprando titoli: si dice siano, in America, i piccoli investitori e le società, attraverso il buyback; si pensa siano, un po’ dappertutto, i professionisti, attraverso i derivati. E, infine, sui Btp, secondo Sersale, sarebbero tornati gli investitori domestici: in altre parole, le nostre banche che sono già piene di titoli di stato.