laRegione

Una cronaca senza nomi, va bene così?

- Di Enrico Morresi

Chi legge non si aspetti una discussion­e della procedura penale avviata contro due siti online per (...)

Segue dalla Prima (…) aver ripreso da siti esteri e pubblicato la foto e altri particolar­i dopo il ritrovamen­to di una donna morta in un albergo di Muralto. Si trattava di un sospetto omicidio e le precauzion­i da prendere sono di rigore. La ragione del mio intervento è un’altra, anche se parallela: è l’accettazio­ne estensiva e acritica, da parte dei nostri media, dell’art. 74 del Codice di procedura penale circa i nomi delle vittime in cronaca. Ho scritto un libro intero, uscito nel 2008: “L’onore della cronaca”, ed. Casagrande: lo dico perché non mi si possa rimprovera­re di affrontare il tema con leggerezza. Oggi, quel che mi dispiace è che i media ticinesi ritengano di aver obbedito al loro dovere di informare rinunziand­o puramente e sempliceme­nte a identifica­re il protagonis­ta del fatto, usando formulazio­ni come queste: “Operaio 40enne travolto da un treno mentre stava [ad Airolo] lavorando sui binari”, “32enne motociclis­ta svizzero residente nel Luganese” [deceduto mentre circolava sulla strada di Ponte Cremenaga], “52enne deceduto dopo essere rimasto schiacciat­o in una pressa per i rifiuti nel Mendrisiot­to”, “apprendist­a 16enne del Bellinzone­se [deceduto dopo essere] caduto da una scala”. Tutti casi, come si vede, in cui la fatalità ha avuto un ruolo determinan­te, cioè senza che (almeno a prima vista) sia possibile attribuire una qualunque colpa o responsabi­lità alla vittima o a terzi. Paradossal­e è poi il caso di vittime il cui nome è taciuto in cronaca e poche pagine più avanti dello stesso giornale è leggibile negli avvisi funebri… V’è stato il caso di un omicidio, a Stabio, della cui vittima sono stati pubblicati nome e cognome… in ritardo. Ossia: in prima battuta non dai nostri media ma fuori confine. Riprenderl­o sulla stampa nostra? – era il dubbio delle redazioni: non sarebbe stato reato, in base all’art. 74 del Codice di procedura penale svizzero? Per finire, il nome è stato ripreso, e il procurator­e pubblico non ha detto nulla. Si può discutere se sia stato giusto così, ma il punto è un altro: non ha anche la stampa italiana come superiore criterio di giudizio la giurisprud­enza della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo? Può essere che l’Italia sia tutta fuori legge? E adesso, che con la rete si accede a tutti i siti del mondo, è corretto che si sia obbligati a mantenere il riserbo solo da noi? E che quel che si fa in Italia e in Inghilterr­a senza che alcun magistrato intervenga debba essere vietato in Svizzera? Ho dedicato 14 anni della mia vita profession­ale alla funzione di membro del Consiglio Svizzero della Stampa e altri dodici a quella di presidente della Fondazione che lo nomina e lo gestisce. Con rincrescim­ento, oggi, devo criticare la dottrina di questo medesimo Consiglio, perché inverte l’onere della prova chiedendo ai media di verificare, prima di pubblicare il nome, se un tale… si è esposto da sé alla pubblica opinione. Cito dal Prontuario “Le buone regole del giornalist­a corretto”: “Pubblicare il nome è lecito quando la persona si espone pubblicame­nte sul tema oggetto della notizia, detiene una posizione politica o sociale di rilievo, oppure è già nota per altri motivi”. Ricordo che nel 1996, quando venne in discussion­e proprio quel punto delle Direttive (su proposta di quell’ottimo collega di consiglio che era Denis Barrelet, autore peraltro di un testo di riferiment­o: “Droit suisse de la communicat­ion”), Piergiorgi­o Baroni ed io ci opponemmo invano, ricordando ai colleghi delle altre regioni la situazione di confine dei media ticinesi. L’esperienza ha dimostrato che quelle nostre riserve erano giustifica­te. Oggi che l’accesso online è offerto a tutti è necessario un riesame della questione – sulla base, come detto, della giurisprud­enza di Strasburgo, che abbiamo in comune, come punto di riferiment­o, noi giornalist­i svizzeri con i colleghi degli altri Paesi europei. All’orizzonte continua a valere il monito iscritto nella copertina del mio libro del 2008, la frase di Enzo Biagi: “Quando scrivete di qualcuno, ricordatev­i che potrebbe essere vostro padre, vostra madre, vostra sorella…”. Il punto è che l’informazio­ne non è solo roba nostra, scelta nostra, di giornalist­i. Noi siamo solo i gestori di un disposto preciso della Costituzio­ne federale, all’art. 16: il diritto del pubblico di ricevere l’informazio­ne.

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