Una cronaca senza nomi, va bene così?
Chi legge non si aspetti una discussione della procedura penale avviata contro due siti online per (...)
Segue dalla Prima (…) aver ripreso da siti esteri e pubblicato la foto e altri particolari dopo il ritrovamento di una donna morta in un albergo di Muralto. Si trattava di un sospetto omicidio e le precauzioni da prendere sono di rigore. La ragione del mio intervento è un’altra, anche se parallela: è l’accettazione estensiva e acritica, da parte dei nostri media, dell’art. 74 del Codice di procedura penale circa i nomi delle vittime in cronaca. Ho scritto un libro intero, uscito nel 2008: “L’onore della cronaca”, ed. Casagrande: lo dico perché non mi si possa rimproverare di affrontare il tema con leggerezza. Oggi, quel che mi dispiace è che i media ticinesi ritengano di aver obbedito al loro dovere di informare rinunziando puramente e semplicemente a identificare il protagonista del fatto, usando formulazioni come queste: “Operaio 40enne travolto da un treno mentre stava [ad Airolo] lavorando sui binari”, “32enne motociclista svizzero residente nel Luganese” [deceduto mentre circolava sulla strada di Ponte Cremenaga], “52enne deceduto dopo essere rimasto schiacciato in una pressa per i rifiuti nel Mendrisiotto”, “apprendista 16enne del Bellinzonese [deceduto dopo essere] caduto da una scala”. Tutti casi, come si vede, in cui la fatalità ha avuto un ruolo determinante, cioè senza che (almeno a prima vista) sia possibile attribuire una qualunque colpa o responsabilità alla vittima o a terzi. Paradossale è poi il caso di vittime il cui nome è taciuto in cronaca e poche pagine più avanti dello stesso giornale è leggibile negli avvisi funebri… V’è stato il caso di un omicidio, a Stabio, della cui vittima sono stati pubblicati nome e cognome… in ritardo. Ossia: in prima battuta non dai nostri media ma fuori confine. Riprenderlo sulla stampa nostra? – era il dubbio delle redazioni: non sarebbe stato reato, in base all’art. 74 del Codice di procedura penale svizzero? Per finire, il nome è stato ripreso, e il procuratore pubblico non ha detto nulla. Si può discutere se sia stato giusto così, ma il punto è un altro: non ha anche la stampa italiana come superiore criterio di giudizio la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo? Può essere che l’Italia sia tutta fuori legge? E adesso, che con la rete si accede a tutti i siti del mondo, è corretto che si sia obbligati a mantenere il riserbo solo da noi? E che quel che si fa in Italia e in Inghilterra senza che alcun magistrato intervenga debba essere vietato in Svizzera? Ho dedicato 14 anni della mia vita professionale alla funzione di membro del Consiglio Svizzero della Stampa e altri dodici a quella di presidente della Fondazione che lo nomina e lo gestisce. Con rincrescimento, oggi, devo criticare la dottrina di questo medesimo Consiglio, perché inverte l’onere della prova chiedendo ai media di verificare, prima di pubblicare il nome, se un tale… si è esposto da sé alla pubblica opinione. Cito dal Prontuario “Le buone regole del giornalista corretto”: “Pubblicare il nome è lecito quando la persona si espone pubblicamente sul tema oggetto della notizia, detiene una posizione politica o sociale di rilievo, oppure è già nota per altri motivi”. Ricordo che nel 1996, quando venne in discussione proprio quel punto delle Direttive (su proposta di quell’ottimo collega di consiglio che era Denis Barrelet, autore peraltro di un testo di riferimento: “Droit suisse de la communication”), Piergiorgio Baroni ed io ci opponemmo invano, ricordando ai colleghi delle altre regioni la situazione di confine dei media ticinesi. L’esperienza ha dimostrato che quelle nostre riserve erano giustificate. Oggi che l’accesso online è offerto a tutti è necessario un riesame della questione – sulla base, come detto, della giurisprudenza di Strasburgo, che abbiamo in comune, come punto di riferimento, noi giornalisti svizzeri con i colleghi degli altri Paesi europei. All’orizzonte continua a valere il monito iscritto nella copertina del mio libro del 2008, la frase di Enzo Biagi: “Quando scrivete di qualcuno, ricordatevi che potrebbe essere vostro padre, vostra madre, vostra sorella…”. Il punto è che l’informazione non è solo roba nostra, scelta nostra, di giornalisti. Noi siamo solo i gestori di un disposto preciso della Costituzione federale, all’art. 16: il diritto del pubblico di ricevere l’informazione.