La città che cambia
Nel 2041 saranno passati ventidue anni: come apparirà allora la città?
Oggi mi domando: come si trasformerà? E ci accorgiamo dei cambiamenti? Ne siamo consapevoli? Viviamo la città, il luogo dove stiamo o la subiamo? Con quale realtà ci troviamo confrontati oggi? Questa realtà voglio esaminare, al momento. Per capire cosa sta capitando nella città che si è ingrandita perché i suoi cittadini così hanno deciso. Sapere cosa stia avvenendo dopo aver triplicato gli abitanti, ed è già passato un po’ di tempo. E se ci accorgiamo. O non ci accorgiamo? E lasciamo correre?
Certo, ci accorgiamo quando stiamo in colonna, a tutte le ore del giorno lungo tutta la via di attraversamento a partire da Camorino fino ad Arbedo (che Bellinzona non è ma la realtà territoriale lo richiama), asse che rappresenta pure il filo conduttore della città. E di transito. Ci accorgiamo anche quando assistiamo al lento quasi inesorabile chiudersi di commerci del centro, che ne facevano la vita, anche se il Pr prevedeva una buona percentuale di abitazioni. Ci accorgiamo dalla sparizione di edifici storici (troppo tardi protetti) e il contemporaneo sorgere di quartieri con edificazioni di nuove dimensioni. E pure ci accorgiamo quando sembra che tutto sfugga via, quasi sotto i nostri occhi, ma non reagiamo, e allora, forse è vero che subiamo.
Mi piacerebbe vedere il futuro
Adesso però mi piacerebbe vedere il futuro, veder realizzato quanto è stato immaginato, previsto, sognato, i progetti, e se diventerà davvero grande, domandandomi nel contempo cosa fa diventare davvero grande una città. Ci penso, ci voglio pensare, ancora una volta. Partire dall’oggi, dal presente e dalla realtà, che non è solo mia. Rileggere la città. Ascoltare il territorio, perché il territorio racconta.
Sul luogo e nel luogo cerco un punto di osservazione favorevole, di facile accesso, un po’ rialzato in modo da avere una visione il più completa possibile del territorio comprensivo della città, per rimanere oggettiva e fermamente convinta nel mio desiderio di città che si avvicini il più possibile all’ideale. Lo trovo, appena sotto il castello, mi siedo sulle mura tra un merlo e l’altro e guardo. Ritengo che il fatto di osservare la città dall’alto sia un buon tema per conoscerla, percepirla e magari pianificarla, fantasticarci sopra. Per raccontarlo alla tua maniera, dopo. E farsi venire idee. Per oggi voglio lasciarmi sorprendere, senza essere condizionata e libera, come se non conoscessi la città, il suo Piano Regolatore, i “grandi” progetti in cui si sta cullando, come se non l’avessi mai studiata, partire da ora quindi. Osservo, ascolto. Giro lo sguardo in tutte le direzioni, dall’alto al basso, dal cielo alla terra. Socchiudo gli occhi. Comincio a leggere: comprendo il territorio, costruito e non costruito, occupato e diversamente sfruttato, stretto tra due versanti che si snoda lungo la striscia blu-verde che si intravvede come direzione, segno preciso e deciso verso la pianura a sud e chiudersi dall’altro verso nord da un ostacolo naturale. Fisso il tutto. Poi con più attenzione cerco le caratteristiche, luoghi emergenti, noto che saltano all’occhio quando appaiono da lontano e dall’alto. C’è più equilibrio e uniformità visto dall’alto. Metto in memoria, apro il calepino e lascio andare la matita. Il foglio si riempie di linee e segni, diventa un quadro, un quadro impressionista anzi espressionista con l’aggiunta di colori e accentuazioni. Ne esce qualcosa che quasi mi soddisfa, ma pur bello sia resta sulla carta, immobile. Io invece lo voglio vedere vivere e svilupparsi, ma come? Comincia a piovere sul mio disegno, gocce di pioggia stravolgono la mia “opera” … Mancano le persone, mi dico, penso agli abitanti, perché sono loro che fanno vivere il territorio, lo usano lo sfruttano lo progettano. Con gli elementi della natura. Ecco cosa manca al mio piano ormai annacquato e irriconoscibile: fantasia, progetto, immaginazione, visione, coraggio, l’andare oltre… Scendo bagnata di pioggia all’incontro con l’anima della città. Riprendo il quadro bagnato, lo risano, lo completo aggiungendo i progetti in fieri conosciuti, che avevo messo da parte per non lasciarmi condizionare, sperando diventi finalmente il piano della città del futuro prossimo: così potrò raccontare la nuova storia. Ma con quelle intenzioni mi sorgono i dubbi sull’interesse degli interventi, sulle conseguenze, il valore e il significato, dell’impatto sull’intera grande città, se così sarà.
Torno alla realtà
Torno alla realtà: come si sta trasformando, come si svilupperà la mia città? Ma non ci si accorge come sta sfuggendo? Non ci si rende conto in quali condizioni si troverà la città, il centro perché è nel solo centro che si avranno situazioni insostenibili sotto tutti i punti di vista e per diversi anni perché non si è provveduto a elaborare qualche scenario, previsto eventuali possibili effetti e conseguenze. Quando nel contempo tutto il resto diventerà sempre più periferia, a meno di… La città si è ingrandita ma non (ancora) sviluppata, i programmi saranno elaborati, le opere terminate tra x anni. E intanto il centro storico è una desolazione, un piano viario degno di questo nome non esiste, la seconda stazione creerà stravolgimenti, non tutti accettabili e probabilmente senza grandi vantaggi. Torno tra i merli del castello: riguardo il mio territorio, il territorio della mia città. E stavolta vado al di là di quello che l’osservazione mi permette: all’estremo del nuovo comune. Nel piano come sarebbe nelle previsioni immetto i progetti (la golena, l’ospedale sulla golena, la stazione di piazza indipendenza, il semisvincolo, l’attraversamento esistente del centro/città, l’ex officina…). Non solo dubbi mi vengono, non solo rimpianti di interventi sui quali si sarebbe dovuto decidere (galleria di circonvallazione) anche immagini, pensieri su come e perché rendere “grande” la città che non sia tutta periferia. E allora si dica: che la stazione di piazza indipendenza è indigesta, che la golena non deve servire al nuovo ospedale (e cosa se ne fa dell’esistente), che venga spostato finalmente lo stand di tiro, che il semisvincolo è un solenne ripiego… Torno al concetto di responsabilità individuale e collettiva quando si pianifica, si progetta, si prendono decisioni: si guarda al futuro, senza dimenticare la memoria. C’è senso di responsabilità ammettere che non si è avuto abbastanza coraggio, ieri, e oggi è tempo di mostrarlo. P.S. È su tutta la striscia blu-verde che pongo le basi per un possibile progetto armonioso che lega tutto il territorio e che si sviluppi seguendo l’andamento del fiume.
Ma questa è un’altra storia.